La tradizione antiochena – la versione di Paolo

La miete a Yad ha-Shmonah (bibleplaces.com)

I teologi sostengono che la morte, la risurrezione e l’ascensione di Gesù sarebbero stati gli eventi conclusivi della sua attività salvifica. Tuttavia, per volontà dello stesso Gesù, la sua partenza verso la casa del Padre non conclude il processo di salvezza del mondo iniziato con la sua attività pubblica. Nell’Ultima Cena, Gesù ha compiuto diversi gesti che esprimono la verità di volersi offrire ai suoi discepoli come sacrificio salvifico. Tra questi, la preghiera di benedizione rivolta al Padre; lo spezzare il pane per darlo ai discepoli; il passare l’unico calice a tutti i commensali; le parole pronunciate sul pane e sul vino, che parlano della nuova alleanza. Tutto ciò è stato riportato nelle due tradizioni che riguardano l’istituzione dell’Eucaristia. La tradizione paolino-lucana, riportata da Paolo e Luca, chiamata tradizione antiochena e quella riportata da Marco e Matteo, chiamata tradizione gerosolomitana. Alcuni biblisti preferiscono parlare di tradizione ellenistica e palestinese.

Nella corrispondenza tenuta con i Corinzi

È già stato dimostrato decenni fa che l’evento storico dell’ultima cena è stato trasmesso sostanzialmente da due correnti: la prima è stata registrata da Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi intorno al 55 d.C. e ripresa da Luca intorno all’80 d.C., la seconda è stata riportata dall’evangelista Marco poco prima del 70 d.C. e ripresa da Matteo qualche anno dopo. Esaminiamo innanzitutto la tradizione antiochena. Cominciamo con il testo di Paolo, che compare nella corrispondenza dell’apostolo con i Corinzi e che è il più antico dei quattro racconti:

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: „Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: „Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga (1 Cor 11, 23-26).

Sebbene Paolo non abbia partecipato all’ultima cena che Gesù consumò con i suoi discepoli, non esita ad affermare di aver ricevuto la tradizione dell’istituzione dell’Eucaristia da Cristo stesso. Per tramandare la tradizione, l’apostolo delle genti inizia ricordando i gesti di Gesù e le parole pronunciate in quella „notte in cui fu consegnato”. La frase finale rimanda alla notte del tradimento e all’evento della morte di Gesù. L’apostolo richiama l’attenzione sulla sequenza di tre gesti compiuti in modo parallelo (parallelamente?) sul pane e sul vino: prendere il pane – rendere grazie – spezzare. All’inizio del pasto pasquale, il padre di famiglia prendeva in mano il pane azzimo e pronunciava una benedizione a nome di tutti: „Benedetto sia il Signore, nostro Dio, Re del mondo, che dalla terra ci dai il pane”. Tutti i partecipanti rispondevano „amen” e il padre di famiglia spezzava un pezzo di pane per ciascuno e lo distribuiva. È difficile vedere nel gesto di spezzare il pane un’allusione diretta alla morte di Gesù sulla croce; l’interpretazione legata alla passione è probabilmente secondaria.

Formula per la consacrazione del pane

Successivamente l’apostolo cattura (attira?)  l’attenzione dei lettori sulle parole: „Questo è il mio corpo, che è per voi”. Gesù spiega ai partecipanti al banchetto il significato del pane, che identifica con il suo corpo e che dà loro da mangiare. Lo fa in modo completamente diverso dai padri di famiglia durante i banchetti pasquali. Come prescritto nel Libro dell’Esodo, gli Israeliti spiegavano il significato del pane azzimo facendo riferimento alla notte dell’esodo dall’Egitto: È a causa di quanto ha fatto il Signore per me, quando sono uscito dall’Egitto. Sarà per te segno sulla tua mano e ricordo fra i tuoi occhi, perché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Con mano potente, infatti, il Signore ti ha fatto uscire dall’Egitto. Es 13, 8-9 Il pane azzimo è qui un segno di ciò che Dio ha fatto per il suo popolo in Egitto e un ricordo (memoriale) degli interventi di Dio. Una spiegazione simile del consumare (mangiare?) il pane azzimo si trova nel libro del Deuteronomio, ma l’autore ne indica (menziona?) un altro motivo importante: il pane azzimo è il pane dell'”umiliazione”, la cui espressione è stata la fuga precipitosa dal paese: per sette giorni mangerai con essa gli azzimi, pane di afflizione perché sei uscito in fretta dal paese d’Egitto; e così per tutto il tempo della tua vita tu ti ricorderai il giorno in cui sei uscito dal paese d’Egitto (Dt 16,3).

Gesù, invece, identifica il pane con il suo Corpo. Perché? Probabilmente (si può presumere?) perché anche lo stesso Pentateuco collega il pane azzimo con la carne dell’agnello pasquale: In quella notte ne mangeranno la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare (Es 12,8). Per analogia, come il sacrificio dell’agnello salvò la vita degli Israeliti che fuggivano dall’Egitto, così il sacrificio volontario del corpo di Gesù salva coloro che partecipano all’ultima cena e coloro che, nel rito sacramentale, ripeteranno i gesti e le parole pronunciate da Gesù sul pane e sul vino.

La miete a Yad ha-Shmonah (bibleplaces.com)

La formula per la consacrazione del pane include anche l’esortazione fate questo in memoria di me, che manca nelle parole pronunciate sul vino. Il greco anamnēsis („ricordo”) dovrebbe essere tradotto con „rendere presente”. Non si tratta infatti di attivare la memoria, ma di un atto mentale attraverso il quale si evoca (richiama?) dalla memoria l’immagine di un evento passato per farne esperienza qui e ora. Nell’Antico Testamento, il ricordo, cioè la rievocazione di eventi salvifici passati che Dio ha compiuto per il suo popolo, non è inteso come rievocazione della storia, ma come attualizzazione di un evento storico. Il termine „ricordare” si riferisce al passato, mentre „rendere presente” (attualizzare?) rende gli eventi passati presenti nel momento attuale, ed è proprio questo il senso delle parole di Cristo: il suo vero Corpo e il suo vero Sangue diventano realmente presenti in mezzo alla comunità dei credenti che, come voleva Gesù, ripetono i suoi gesti e le sue parole pronunciate sul pane e sul calice di vino.

La formula per la consacrazione del vino

Come sappiamo, alla fine del banchetto pasquale, il padre di famiglia prendeva il calice di vino – il terzo durante il banchetto – lo teneva sopra la tavola e su di esso pronunciava una preghiera di ringraziamento per il pasto, alla quale tutti rispondevano „amen”. Le parole di Gesù pronunciate sul calice alludono invece all’idea della nuova alleanza. La nuova alleanza si realizza – a differenza di quella sinaica – nel Sangue di Cristo, cioè nella sua morte salvifica. Nei testi dell’Antico Testamento, il vino diventa spesso metafora del sangue. Citiamo alcuni esempi. Quando il patriarca Giacobbe muore, benedice Giuda, „il giovane leone” (Gn 49,9), al quale „non sarà tolto lo scettro” (Gn 49,10), e pronuncia la profezia: lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto; (Gn 49,11b). Anche Mosè, poco prima di morire, intona un canto di lode a Dio parlando del popolo eletto: sangue di uva, che bevevi spumeggiante (Dt 32,14). Infine, il saggio Siracide, lodando il sommo sacerdote Simone, dice che: egli compiva il rito liturgico sugli altari, preparando l’offerta all’Altissimo onnipotente. Egli stendeva la mano sulla coppa e versava succo di uva, lo spargeva alle basi dell’altare come profumo soave all’Altissimo, re di tutte le cose (Sir 50,14-15).

Infine, è importante notare l’assenza nel racconto di Paolo del verbo „consegnare”. Tuttavia, anche se questo verbo non compare nella descrizione, il suo significato è già contenuto nell’espressione di Paolo „per voi”, che spesso indica la natura redentiva della morte di Gesù. Dopo le parole di consacrazione sul vino, Paolo riporta anche l’esortazione di Gesù fate questo in memoria di me, perché la ripetizione delle parole di Gesù e dei gesti da lui compiuti sul pane e sul vino non è altro che la proclamazione della morte del Signore finché egli venga (1 Cor 11,26). L’interpretazione tradizionale di queste parole indica che la Chiesa, celebrando l’Eucaristia, proclama la morte di Gesù fino alla sua seconda venuta.

„La tradizione antiochena – la versione di Paolo”, Rinnovamento nello Spirito Santo 5-6 (2024) 8-9.

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