La tradizione antiochena trasmessa da Luca

Alla cosiddetta tradizione antiochena, che comprende il racconto di Paolo sull’istituzione dell’Eucaristia, appartiene anche il racconto di san Luca. Riportiamo le parole di Gesù sulla consacrazione del pane e del vino insieme alla formula introduttiva:

Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse: „Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. E preso un calice, rese grazie e disse: „Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”. Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: „Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: „Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”. Lc 22, 14-20

In questa descrizione notiamo l’assenza di ogni riferimento ad altri partecipanti al banchetto, oltre agli apostoli. Ciò non dimostra necessariamente che alla cena non fosse presente nessun altro oltre a Gesù e alla cerchia dei Dodici. Si tratta piuttosto di evidenziare il fatto che, nella Chiesa primitiva, sono stati gli apostoli i testimoni credibili dell’istituzione dell’Eucaristia. Descrivendo Gesù che prese posto a tavola con gli apostoli (Lc 22,14), Luca usa il verbo che significa esattamente l’atto di assumere una posizione semisdraiata. Gli ebrei adottarono questa consuetudine (usanza?) dal mondo greco e romano. Nella cultura greco-romana, questa posizione a tavola esprimeva la libertà dei commensali. Questo gesto ci introduce nell’importante simbolismo del rituale pasquale: La Pasqua era la celebrazione della liberazione del popolo eletto.

Il desiderio di Gesù

Parlando del desiderio di Gesù di mangiare il banchetto (il pasto?) con i suoi discepoli, l’evangelista ricorre a una costruzione tipicamente semitica, pur essendo, in fondo, l’unico tra gli autori dell’intera Bibbia a non appartenere al popolo della prima elezione: epithymia epethymēsa significa letteralmente „ho desiderato con desiderio”, che andrebbe anzi tradotto con „ho desiderato tantissimo”. Questo desiderio di mangiare (consumare?) il pasto (banchetto?) che inaugurerà una nuova modalità di presenza di Cristo tra i discepoli (l’Eucaristia) nell’interpretazione teologica può essere collegato al grido di Gesù morente sulla croce: „Ho sete!” (Gv 19,28). Inoltre, Gesù aggiunge che desiderava consumare questo banchetto prima di (dover?) soffrire. Di notevole importanza diventa questo particolare gioco di parole: nella narrazione di Luca, il termine „soffrire” (gr. pathein) al tempo presente assume la forma paschein, che foneticamente rimanda al termine ebraico pascha. Questo gioco di parole permette di concludere che la Pasqua di Gesù significa la sua sofferenza salvifica, che non si è conclusa con la morte e la sepoltura del suo corpo, ma con una gloriosa risurrezione significante (che significa?) la vittoria sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte. Parlando quindi del suo desiderio di mangiare la Pasqua con i suoi discepoli, Gesù preannuncia nello stesso tempo sia la sua Pasqua: la passione e la morte, sia la sua risurrezione.

Le due coppe

Il racconto di Luca dell’istituzione dell’Eucarestia parla chiaramente delle due coppe di vino che Gesù diede agli apostoli: la prima è introdotta nella descrizione con le parole „ e preso un calice ” (Lc 22,17), la seconda con „ allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo ” (Lc 22,20). Sul primo Gesù recitò una benedizione e dichiarò che non avrebbe più bevuto del frutto della vite finché non fosse arrivato il regno di Dio; il secondo lo chiamò „la nuova alleanza” e lo diede da bere agli apostoli. Questa seconda coppa che Gesù diede dopo aver consumato il pasto, cioè la terza coppa secondo il rituale della festa di Pasqua, si chiamava coppa di ringraziamento o di benedizione. La conferma di ciò che riguarda il calice della consacrazione si trova in Paolo: Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo. (1 Cor 10,16). Ciò significa anche che la prima coppa menzionata da Luca doveva essere la seconda coppa cerimoniale del rituale pasquale ebraico, chiamata coppa della proclamazione (in ebraico: haggadah). Il fatto che Gesù spieghi il significato del mangiare pane azzimo conferma tale interpretazione; una spiegazione faceva parte obbligatoria del rituale. La differenza, tuttavia, è fondamentale: Gesù non fa riferimento all’esodo degli Israeliti dall’Egitto, ma identifica il pane con il proprio corpo (Lc 22,19). Questo fatto conferma la nostra precedente interpretazione secondo cui Gesù istituisce la propria festa di Pasqua sulla base del Seder ebraico.

Miete in vinea (bibleplaces.com)

Un’altra informazione che compare nella narrazione di Luca è specifica solo per lui (si trova solo in lui?). Si tratta ancora della seconda coppa del banchetto pasquale, di cui Gesù dice: Prendetelo e distribuitelo tra voi (Lc 22,17). Il testo di Luca sembra suggerire che, sebbene Gesù abbia dato agli apostoli la coppa e abbia ordinato loro di condividerla tra loro, egli stesso non abbia bevuto il vino durante la cena. Una spiegazione possibile di questo fatto è l’interpretazione che fa riferimento alle norme ebraiche che vietano ai sacerdoti di bere vino prima di celebrare il culto:  Nessun sacerdote berrà vino quando dovrà entrare nell’atrio interno (Ez 44,21). Offrendosi volontariamente sull’altare della croce, Gesù svolgeva funzioni sacerdotali già anticipate dalla somministrazione del pane e del vino consacrati agli apostoli. Con ogni probabilità, quindi, seguì le norme rituali astenendosi dal bere il vino. Pur avendo ognuno degli apostoli il proprio calice davanti a sé, Gesù porge loro quello che si trova davanti a Lui. Ciò significa che tutti bevevano da un unico calice. Tuttavia, questa non era la coppa di consacrazione del vino e della trasformazione di esso nel Sangue di Cristo.

Il pane nelle mani di Gesù

Più avanti nella narrazione, Luca parla della consacrazione del pane: „Poi prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e lo diede, dicendo: ” Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me„. (Lc 22,19). Alcuni esegeti ritengono che questo si riferisca all’inizio della consumazione del cibo, subito dopo l’haggadah pasquale. È il momento in cui il padre di famiglia prende il pane, lo ricopre di erbe amare, lo intinge in una salsa amara, lo spezza e lo distribuisce a tutti i commensali. Questo significherebbe che Gesù avrebbe dato il pane intinto nella salsa agli apostoli, e poi avrebbe mangiato tutti gli altri cibi preparati per la festa, fino a quando, alla fine del banchetto, (Egli?) avrebbe trasformato il vino nel suo sangue. Se così fosse, significherebbe che tra la consacrazione del pane e quella del vino ci sarebbe stato un allegro banchetto. Altri esegeti – citando il fatto che Gesù non si è attenuto strettamente al rituale della festa pasquale ebraica – sono propensi a sostenere che, dopo la fine del pasto, Gesù ha preso di nuovo il pane, lo ha consacrato e ha dato il suo corpo agli apostoli appena prima di trasformare il vino nel suo sangue.

I gesti compiuti da Gesù durante il pasto erano tipici dell’antico Vicino Oriente. Praticamente ogni consumo di pane era accompagnato da una breve preghiera, che anche Gesù pronunciò. Quando si divideva il pane, non veniva usato il coltello, ma lo si spezzava con le mani. Gli antichi erano convinti che il pane nascondesse una grande forza (potere?) che poteva passare a chi lo mangiava. In una traduzione letterale, Gesù dice che la sua carne „viene consegnata”. In questo modo getta un ponte tra l’ultima cena e la sua morte in croce. Al banchetto con gli apostoli, Egli è ancora vivo, ma usa il tempo presente („è passato”) per sottolineare il legame indissolubile e radicale tra questo banchetto e la sua morte, che diventerà un sacrificio.

Il sangue della nuova alleanza

Le parole pronunciate sul calice fanno un chiaro riferimento alla celebrazione (allo stringere?) dell’alleanza del Sinai (Es 24,1-8). Poiché, secondo la credenza degli Israeliti, la vita umana „abitava” nel sangue, il sangue era il dono più prezioso che l’uomo potesse offrire a Dio. Nella tradizione sacerdotale leggiamo: ” Poiché la vita della carne è nel sangue ” (Levitico 17:11). L’aspersione del popolo e dell’altare al termine del rito dell’alleanza del Sinai significava la riconciliazione del popolo con Dio; il versamento del calice con il sangue della nuova alleanza da parte degli apostoli e di tutti coloro che lo faranno „in memoria” significa la partecipazione alla nuova alleanza.

Trad. di Anna Marx Vannini

„La tradizione antiochena trasmessa da Luca”, Rinnovamento nello Spirito Santo 7 (2024) 12-13.

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