La tradizione di Gerusalemme sull’istituzione dell’Eucaristia comprende i racconti di Marco e Matteo. Quello cronologicamente più antico è il racconto di Marco. Cominciamo quindi con il Vangelo cronologicamente più antico. La narrazione di Marco, quanto alla sua storicità, merita fiducia così come le descrizioni della passione e della morte di Gesù. Appartiene quindi al quadro più antico del Vangelo di Marco. Può essere facilmente tradotto in aramaico o in ebraico, poiché è ricco di semitismi. L’evangelista ha attinto alla tradizione semitica del racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, che era diffusa in versione orale. Nel testo di Marco, inoltre, non c’è traccia di riferimenti alla celebrazione della cena del Signore da parte dei primi cristiani; esso racconta soltanto l’evento storico dell’ultima cena che Gesù consumò con i suoi discepoli:
Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: „Prendete, questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: „Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio” (Mc 14,22-25).
Gesù padrone di casa
Marco afferma che Gesù compie i gesti che appartengono al padrone di casa: prendere il pane, recitare la preghiera di benedizione, spezzare un pezzo di pane per ciascuno dei partecipanti al banchetto e servirlo. Se Gesù ha benedetto il pane e lo ha dato ai discepoli all’inizio della consumazione del cibo, allora bisogna considerare che tra la consacrazione del pane e la consacrazione del vino c’è stata una festa gioiosa che ha separato nel tempo i due atti di consacrazione. Soltanto nella comunità cristiana delle origini i due atti sarebbero stati congiunti in un unico e coeso rituale. Secondo altri, dopo la fine del pasto, Gesù prese di nuovo il pane, lo consacrò e subito dopo questo gesto diede agli apostoli la terza coppa di vino, chiamandola la coppa della nuova alleanza.
I gesti di Gesù sul pane sono accompagnati dalle parole di consacrazione: “questo è il mio corpo”. Il termine “corpo” è usato in parallelo al termine “sangue”, che apparirà tra poco sulla bocca di Gesù. L’espressione semitica “carne e sangue” indica l’intera persona umana (Mt 16,17). Così, il pane che Gesù distribuisce ai discepoli è Lui stesso. Una questione su cui gli esegeti hanno riflettuto per anni e che è ancora oggi irrisolta: Gesù stesso ha mangiato il pane trasformato nel suo corpo, oppure lo ha distribuito agli apostoli mentre lui stesso si è astenuto dal mangiarlo? Il comando di Gesù – “Prendete!” – fa supporre che egli stesso si sia astenuto dal mangiarlo, ma questo non può essere affermato con certezza.
Il secondo gesto compiuto da Gesù completa il primo: Gesù prende la coppa di vino, recita una preghiera di ringraziamento e la porge agli apostoli. L’affermazione “e ne bevvero tutti” suggerisce che Gesù abbia dato il proprio calice ai discepoli. L’unità di tutta la comunità viene così segnalata, prefigurando l’unità di coloro che parteciperanno alla festa e che ripeteranno i gesti e le parole di Gesù “in memoria di lui”. Gesù pronuncia le parole: „Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti” (Mc 14,24). Resta indiscutibile che Gesù alluda all’idea di sacrificio: il sangue delle vittime, mentre venivano uccise, veniva raccolto e poi versato sull’altare degli olocausti nel tempio di Gerusalemme. C’è un’eco della profezia di Isaia, che annuncia che il servo di Yahweh soffrirà per i peccati di “molti”, nel sottolineare che il sangue di Gesù sarà speso “per molti”: “Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” (Is 53,12). “Molti” nella mentalità semitica significa semplicemente tutti. Il servo di Yahweh doveva morire “per i molti”, cioè per tutti i peccatori di cui doveva prendersi in carico la (caricarsi di?) colpa. Gesù ha preso su di sé la colpa di Israele, i cui rappresentanti l’avevano messo a morte. È morto per tutti, per tutto Israele. Grazie alla sua morte, Dio perdona la colpa e stringe una nuova alleanza.

Parlando del proprio sangue, Gesù allude all’idea di una nuova alleanza. La durevolezza (stabilità?) delle varie alleanze dell’Antico Testamento poteva dipendere da entrambe le parti o da una sola di esse. Un impegno assunto solo da Dio era l’alleanza noachica (Gen 9,1-17), l’alleanza con Abramo (Gen 15,1-21) e con Davide (2Sm 7). Si trattava di alleanze permanenti, poiché solo Dio era la parte che si impegnava a rispettare i termini dell’alleanza. L’alleanza del Sinai era un patto che impegnava ambedue le parti: Dio avrebbe protetto il suo popolo se questi avesse rispettato i termini dell’alleanza (Es 24,3-8). Trasgredendo i comandamenti, Israele si privava della protezione di Dio. La novità dell’alleanza annunciata da Geremia (Ger 31,31-34) sta nel fatto che, pur essendo un’alleanza bilaterale, sarà caratterizzata dal carattere permanente. Come è possibile questo? Perché Dio dovrebbe mantenere i termini dell’alleanza anche in una situazione in cui il popolo la potrebbe infrangere? La risposta sembra essere suggerita da Marco attraverso la narrazione stessa, in cui le pericopi che parlano del tradimento di Giuda e dell’istituzione dell’Eucaristia sono collocate come contigue.
La comunità che celebra la Pasqua
Gesù ha deliberatamente scelto la cerchia dei Dodici per instaurare con lui un rapporto diverso da quello degli altri discepoli. Questo cerchio, però, sarà spezzato dal tradimento. Pur essendo consapevole di questo fatto, Gesù non interrompe la festa che porterà all’instaurazione della nuova alleanza. Parlando del sangue dell’alleanza, Gesù ricorda l’alleanza del Sinai, ma il suo coinvolgimento è molto più intenso di quello di Mosè. Mosè, come mediatore dell’antica alleanza, versa il sangue di animali; Gesù, come mediatore della nuova alleanza, versa il proprio sangue. Nonostante la presenza di un traditore in mezzo ai Dodici, la loro relazione con Gesù non sarà completamente interrotta.
Lo spargimento (versamento?) di sangue e la morte di Gesù
Lo spargimento di sangue implica la morte. Gesù parla del suo sangue che sarà versato (o meglio: “viene versato”). È chiaro che Gesù sta annunciando la sua morte, ma se ci si fermasse qui, nell’interpretazione delle sue parole, essa risulterebbe parziale. Infatti, Gesù tiene in mano una coppa di vino. Il vino va bevuto, non versato. Alla festa di Pasqua, gli israeliti bevevano il vino, ma prima versavano (con le mani dei sacerdoti) il sangue dell’agnello sull’altare del tempio. Questo, inoltre, avveniva non solo in occasione della celebrazione della Pasqua ebraica. Si considerino i seguenti testi: ”Offrirai i tuoi olocausti, la carne e il sangue, sull’altare del Signore tuo Dio; il sangue delle altre tue vittime dovrà essere sparso sull’altare del Signore tuo Dio e tu ne mangerai la carne (Dt 12,27); I sacerdoti facevano aspersioni con il sangue che ricevevano dai leviti (2Cr 30,16); questo passo parla direttamente della celebrazione della Pasqua: Immolarono gli agnelli pasquali: i sacerdoti spargevano il sangue, mentre i leviti scuoiavano (2Cr 35,11). Così, parlando del proprio sangue da versare, Gesù non solo segnala la sua morte, ma la interpreta come un atto di culto; inoltre, ne parla come di un sacrificio pasquale.
Naturalmente, al momento dell’Ultima Cena, Gesù non stava ancora sperimentando direttamente nel suo corpo la condanna a morte che doveva ancora arrivare; quindi, l’uso del termine deve essere interpretato correttamente. Il sangue di Gesù sarà versato il giorno successivo, quando subirà la morte sull’albero della croce. Allora uno dei soldati romani gli trafiggerà letteralmente il costato, da cui sgorgherà il sangue. Usando il tempo presente, Gesù getta un ponte tra i due eventi: tra l’Ultima Cena e la morte in croce. Sta, per così dire, affermando che si tratta di un unico evento.
Ma non è tutto. Ordinando la ripetizione dei suoi gesti e delle parole pronunciate sul pane e sul calice, annuncia che ogni volta che i suoi discepoli e i loro successori lo faranno, il suo sangue sarà “versato”. In altre parole, Gesù identifica tre eventi: l’ultima cena, la morte in croce e la celebrazione dell’Eucaristia.
„La tradizione di Gerusalemme trasmessa da Marco”, Rinnovamento nello Spirito Santo 8 (2024) 12-14.
Trad. di Anna Marx Vannini
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