Lo sfondo biblico del titolo “Maria Regina”

Nella sua lettera Rosarium Virginis Mariae Giovanni Paolo II sottolinea la verità che la Chiesa venera Maria Vergine come la Regina: “A questa gloria che, con l’Ascensione, pone il Cristo alla destra del Padre, Ella (Maria) stessa sarà sollevata con l’Assunzione, giungendo, per specialissimo privilegio, ad anticipare il destino riservato a tutti i giusti con la risurrezione della carne. Coronata infine di gloria – come appare nell’ultimo mistero glorioso – Ella rifulge quale Regina degli Angeli e dei Santi, anticipazione e vertice della condizione escatologica della Chiesa” (RVM 23). Il Santo Padre vede chiaramente – concorde con l’antica tradizione ecclesiastica – lo stretto legame tra l’Assunzione e incoronamento di Maria come la Regina del cielo e della terra. Sulla stessa linea si situa la dichiarazione di Paolo VI nel Marialis cultus: “La solennità dell’Assunzione ha un prolungamento festoso nella celebrazione della beata Maria Vergine Regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla colei che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come Regina e intercede come Madre” (MC 6). La frase – chiave per le nostre considerazioni sembra il detto che Maria, per quanto la Regina, è “assisa accanto al Re dei secoli”. In questo modo il regnare di Maria e la sua regalità vengono presentati come uniti con il regnare e la regalità di Gesù.

Vogliamo porsi una domanda se si possa trovare la testimonianza biblica in riguardo di Maria come Regina. Senza dubbio l’idea di regalità nella Bibbia si esprime mediante la terminologia reale, alla quale appartengono i verbi “regnare”, “dominare” ed i sostantivi “re / regina”, “regno” e “signore”. Facendo la ricerca sullo sfondo biblico della verità di regnare di Maria, si deve prima presentare l’idea biblica di dominio di Dio sulla terra e l’idea del regno di Dio, e dopo, in questo contesto, indicare i testi biblici, i quali parlano – secondo la Tradizione della Chiesa – di Maria come la Regina. Dunque la nostra riflessione si svolge in tre tappe seguenti: idea di dominio (signoria) di Dio (1), idea del regno di Dio (2) e i testi biblici su Maria per quanto la Regina (3). Il risultato di questa ricerca verrà brevemente presentato nelle conclusioni (4).

1. Idea di dominio (signoria) di Dio

Il Vangelo di Matteo è stato chiamato dai esegeti “il vangelo del regno do Dio”[1]. Il motivo del regno dei cieli e del dominio di Dio ritorna in esso più spesso. Per il nostro tema non è necessario di dipingere un’immagine del domnio di Dio in tutta la Bibbia. Vogliamo dunque presentare l’idea della signoria di Dio, soffermadosi sul Vangelo di Matteo. Presentando questa idea bisogna con attenzione esaminare i testi, dove appaiono i titoli “Signore” (Kyrios) e “Re” (Basileus), mostrando come l’evagelista presenta il dominare di Dio per mezzo di Gesù sopra la natura, sui peccati e sul potere di Satana.

Nel racconto d’infanzia di Gesù (capp. 1-2) il titolo Kyrios (“il Signore”) appare sei volte, sempre nello stesso significato, quale l’Antico Testamento dà al Dio Jahve. Gesù stesso non viene ancora chiamato con questo titolo, ma le apparenze di esso preannunziano già la potestà reale del Figlio di Dio. Basta menzionare il racconto della visita dei Magi (Matt 2,1-12), dove si proclama la nascità del re del mondo intero, sia degli Ebrei, sia pagani. Secondo gli oracoli in Num 24,7 e 24,17, il Messia dovrebbe essere il re sia per i Giudei, sia per pagani.

Dio aveva preannunziato di suscitare per Israele “un capo che pascerà i mio popolo” (Matt 2,6), perciò Gesù viene chiamato “il re dei Giudei” (Matt 2,2). Il re dei Giudei è stato putroppo rifiutato dal proprio popolo, ma viene adorato per la gente pagana. Il racconto intero è pieno di simboli della dignità reale di Gesù. Alcuni di essi non sono più così chiari e limpidi come erano per le società antiche del Medio Oriente. Molti termini e usanze derivano in questo racconto dal ceremoniale di corte. Per esempio l’evagelista tre volte usa il verbo “adorare” (proskynein), in Matt 2,2.8.11; proschinesi è il gesto reverenziale che si faceva davati ai re[2].

Dopo aver finito il racconto dei Magi, Matteo descrive attività del predecessore del Signore, Giovanni Battista, a cui vengono applicate le parole d’Isaia: “Voce di uno che grida in deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!” (Matt 3,3; cfr. Isa 40,3). Qui per la prima volta il titolo “Signore” si riferisce a Gesù stesso. Il suo pieno significato cristologico quel titolo assume alla conclusione del Discorso della Montagna: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?” (Matt 7,21-22). Sitz im Leben di queste frasi è naturalmente pasquale e probabilmente anche liturgico.

Anche un’altra esclamazione rivolta a Gesù ha un carattere liturgico: “Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi” (Matt 8,2). La lebbra dell’uomo che grida queste parole è diventata per i primi cristiani un simbolo di peccato, dunque l’intera esclamazione veniva interpretata come un grido per ottenere la gurigione spirituale, cioé per ricevere il perdono dei peccati.

Anche i pagani si rivolgono a Gesù con il titolo “Signore”. Il centurione di Cafarnao scongiurava Gesù: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente” (Matt 8,6). Anche se nella bocca del soldato romano l’esclamazione “Signore” potrebbe essere solo una forma di cortesia, non c’è dubbio che l’evangelista vede in essa il valore cristologico. Proprio per mettere nella bocca sia dei Giudei sia pagani il titolo Kyrios, Matteo dimostra universalismo della salvezza. Questa idea viene ancora sottolineata per il motivo di grandissima stima e reverenzia davanti a Gesù: “Signore, io non sono degno, che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito” (Matt 8,8). Un’altra guarigione dimostra che anche la donna pagana – in questo caso la Cananèa – si rivolge a Gesù, chiamandolo “Signore”; anzi, lo fa tre volte (Matt 15,22.25.27)[3].

Kyriologia di Matteo contiene una tradizione di autentici seguaci di Gesù (Matt 8,18-22). Gesù gli ammonisce che tutta la vita dell’uomo dovrebbe essere orientata verso il regno di Dio che è il Signore: “E un altro dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andar prima a sepellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti sepellire i loro morti” (Matt 8,21-22). Vita orientata verso il Signore trova aiuto e liberazione nelle situazioni di pericolo. Quando si scatenò una tempesta sadata nel mare, i discepoli svegliarono Gesù dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!” (Matt 8,25). Poiché la signoria di Gesù si estende anche sopra le forze di natura, la liberazione venne presto: “Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia” (Matt 8,26)[4].

A Gesù per quanto il Signore si rivolgono anche: uno dei capi della sinagoga (Matt 9 18), i due ciechi (Matt 9,28), ancora una volta i discepoli sul mare (Matt 14,28-31), il padre di un figlio epilettico (Matt 17,15), i due ciechi di Gerico (Matt 20,30) e le folle, quando Gesù faceva il suo ingresso messianico a Gerusalemme (Matt 21,1-10), i discepoli durante l’ultima cena (26,22). Soprattutto la scena con Pietro assicura il lettore del Vangelo che aiuto e liberazione proviene dal Signore di tutto il creato; basta rivolgersi a Lui con la richiesta: “Signore, salvami!” (Matt 14,30)[5]. In altra occasione lo stesso Pietro domanda Gesù: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me?” (Matt 18,21). La risposta di Gesù è precisa: quelli che lo chiamano “il Signore” devono perdonare sempre.

Tutte le apparenze del titolo Kyrios nel Vangelo di Matteo sottolineano la signoria di Dio esercitata per mezzo di Gesù e preparano pian piano le ultime costatazioni del Cristo risorto: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (Matt 28,18). E’ facile ritrovare in queste parole un eco della visione dell’Figlio di Uomo, presentata nel Libro di Daniele:

“Guardando ancora nelle visioni notturne,
ecco apparire, sulle nubi del cielo,
uno, simile ad un figlio di uomo;
giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui,
che gli diede potere, gloria e regno;
tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno;
il suo potere è un potere eterno,
che non tramonta mai, e il suo regno è tale
che non sarà mai distrutto” (Dan 7,13-14)[6].

La visione del profeta trova il suo compimento nella persona di Gesù: è propio Lui che ottiene da Dio il potere reale, il quale durerà in eterno. Descrivendo il processo di Gesù, Matteo quattro volte applica a Lui il titolo Basileus[7], anche se nella bocca dei Giudei questo termine non è privo di valore ironico. Questo potere reale di Gesù si estende “sul cielo e la terra”. Nell’Antico Testamento  la frase “cielo e terra” copre tutto il creato. Questo potere di Gesù era già preannunziato nella sua attività terrena: Egli insegnava “come uno che ha autorità” (Matt 7,29), aveva “il potere in terra di rimettere i peccati” (Matt 9,6) e il potere di scacciare i demoni (Matt 12,28); poi lo stesso suo potere aveva tramandato ai discepoli (Matt 10,1-4)[8].

2. Idea di regno di Dio

Per comprendere meglio l’idea di regalità nella Bibbia e nel giudaismo, bisogna esaminare l’idea del regno di Dio. Infatti “regno di Dio” è nella Bibbia e nel giudaismo strettamente collegato con l’idea di regnare. Le tradizioni dell’Antico Testamento per quanto riguarda il regno di Dio si concentrano e abbreviano nei Vageli. Tema del regno di Dio (detto anche “il regno dei cieli”) è il tema prinipale dell’insegnamento di Gesù. Il termine “regno” (basileia) appartiene alla terminologia politica e reale, ed è presente non solo nella Bibbia Ebraica ma anche nella letteratura intertestamentaria (cioé negli scritti apocrifi e rotoli di Qumran) e quella rabbinica. Nell’ambiente religioso quel termine indica prima di tutto Dio stesso che regna il suo popolo nel suo territorio, e nel senso più largo – il potere universale di Dio su tutta la terra. Durante i tempi di monarchia in Israele (dal regno di Davide fino alla destruzione del Tempio per Nabucodonosor) “il regno di Dio” era per gli Israeliti il modello del regno terreno; quel modello esisteva nei cieli, presso Dio. Il re terreno era solo il rappresentante del Re Eterno, Dio stesso; le leggi statali dovevano essere uguali a quelli religiosi. Infatti non esisteva la divisione tra la vita sociale e religiosa. La convinzione che il re d’Israele era il rappresetante di Jahve viene ammessa dal salmista, che nel Salmo 2 (oltre che messianico anche reale) riporta le parole del re:

“Annunzierò il decreto del Signore.
Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio,
io oggi ti ho generato.
Chiedi a me, ti darò in posesso le genti
e in dominio i confini della terra” (Sal 2,7-8).

Una frode contro il re terreno era considerata una frode contro Dio stesso[9]. La consequenza di una tale idea di monarchia era la speranza che un giorno il re d’Israele regnerà su tutte le nazioni della terra e li condurrà alla conoscenza del vero Dio (Sal 2,8.11; 99,1). La caduta del Regno di Giuda (586 a.C.) cambia questa prospettiva radicalmente. Dopo la perduta d’indipendenza politica fra il popolo d’Israele nacque il messianismo, cioé la speranza per la venuta del Messia che libererà il popolo eletto dala schiavitù politica. Proprio in questa ottica gli Israeliti interpretavano le parole dei salmi messianici (soprattutto Sal 2 e Sal 110) ed anche la predizione di Ezechiele: “Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro” (Ez 34,23-24). Le profezie del Deutero- e Trito-Isaia (Isa 40-66) preannunziavano la nascità (senza le arme) del regno messianico di Dio. Anche i re pagani dovrebbero convertirsi e confessare la fede d’Israele (Isa 45,14)[10].

Nella letteratura intertestamentarie (II sec. a.C. fino ai tempi di Gesù) si vede da un lato la continuazione dell’idea veterotestamentaria del regno di Dio, da un’altro nascono le idee nuove. Le orme di esse possono essere facilmente ritrovate nei apocrifi e nei rotoli di Qumran, ma anche nel menzionato sopra Libro di Daniele, di cui defnitiva redazione è stata fatta verso 160 a.C.[11] L’idea del regno di Dio assume allora il carattere escatologico. Questo si vede chiaramente in 4QShirr.Shab. 400,2, dove il termine „regno” appare 25 volte[12], ed in 4Q 510, 1-5. Un po’ diversamente il regno di Dio presenta lo storico ebreo Giuseppe Flavio; egli riporta le opinioni di sostenitori di “quarta filosofia” (cioé zeloti) e difensori di Masada. Per gli zeloti il regno messianico aveva la dimensione solamente politica; era famoso il loro motto: “Nessun padrone tranne Dio!”[13].

I rabbini accentuano due punti nel loro insegnamento sul regno di Dio: il parallelismo tra il regno di Dio nei cieli e quello in terra e le indicazioni pratiche, in che modo uno può ottenere il regno do Dio (cioè entrare in esso). Mettevano in rilievo il carattere escatologico del regno messianico, che sta in contrasto con Impero Romano, identificato con il regno del male.

Gesù insegnva sul regno di Dio soprattutto nelle parabole, ma anche nei detti profetici[14]. Il detto programmatico “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” (Mc 1,15) appartiene alle escatologiche esclamazioni profetiche (Isa 50,8; 51,5; Ez 7,7). C’è da notare una certa tensione nell’insegnamento di Gesù sul regno: da una parte questo regno è già presente, da un’altra deve ancora venire (cfr. Mc 9,1; 14,25). Questa tensione ha un significato molto preciso: il regno di Dio ha un carattere dinamico, è sempre in statu fieri. Gli inizi di questo regno sono quasi invisibili (Mc 4,30-32) ma il risultato finale è impressionante; i ricchi difficilmene entreranno nel regno dei cieli (Mc 10,23-25); se uno non diventa come un fanciullo, neanche lui entrerà nel regno (Mc 10,15); la condizione sine qua non per ottenere il regno è abbandonare la vita del peccato (Mc 9,47). L’annuncio del regno di Dio e chiamata alla conversine da parte di Gesù situa il suo insegnamento sulla linea profetica dell’Antico Testamento[15].

Avendo davanti agli occhi questa prospettiva dell’idea del regno di Dio nella Bibbia e nel giudaismo, vogliamo adesso riflettere sul tema di “regnare di Maria” e sul suo sfondo biblico.

3. Maria come Regina

Dopo aver esaminato l’idea della signoria di Dio e del regno di Dio  nella Bibbia e nel giudaismo, poniamoci una domanda precisa: esistono nella Bibbia dell’Antico e del Nuovo Testamento le ragioni per chiamare Madre di Dio con il titolo “Regina” o forse no? Naturalmente expressis verbis a Maria non viene mai attribuito questo titolo. Nonostante questo fatto, antica tradizione cristiana evoca due testi biblici, in cui si possono vedere le fonti per questo titolo. Il primo deriva dall’Apocalisse di san Giovanni (Ap 12,1-8), un altro dal Libro dei Salmi (45,10)[16]. Questi due testi costituiscono lo sfondo biblico per il titolo “Maria Regina”.

3.1. “Una donna vestita di sole” (Ap 12,1)

Il significato principale di Ap 12,1-18 è ecclesiologico. San Giovanni dipinge davanti agli occhi dei destinatari del libro visione di una donna che deve lottare con il drago. Questa visione riprende le immagini dalle prime pagine della Bibbia e rimanda al Protovangelo: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15). La traduzione mariologica di questo versetto, fatta da Girolamo, è divenuta tradizionale nella Chiesa: “inimicitias ponam inter te et mulierem et semen tuum et semen illius; ipsa conteret caput tuum et tu insidiaberis calcaneo eius”. Il pronome “ipsa” viene riferito a Maria.

Il senso principale della visione di Giovanni tocca la Chiesa, rappresentata dalla “donna vestisa di sole”. Si tratta di Chiesa in persecuzione. Ma questa donna, alla luce di Isa 7,11.14; Mi 5,2, ha anche le caratteristiche individuali di madre del Messia: “Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scetro di ferro” (v.5)[17]. Dall’inizio del II° secolo l’immagine della donna per i cristiani rappresentava Maria per quanto Madre della Chiesa. Le persecuzioni della donna e la sua definitiva vittoria i cristiani interpretavano come preannunzio delle persecuzioni e della vittoria della Chiesa.

L’immagine della donna apocalittica si assomiglia ad una regina, perchè questa donna tiene sul capo “una corona di dodici stelle” (v.1). Il simbolo della corona di dodici stelle rimanda al sogno di Giacobbe: “Ho fatto ancora un sogno, sentite: il sole, la luna e undici stelle si prostravano davanti a me” (Gen 37,9). Le dodici stelle simboleggiano le dodici tribù d’Israele; dunque la donna apocalittica è una regina del nuovo Israle, cioè della Chiesa. La veste di sole indica profonda vicinanza, anzi – intimitezza con Dio, perché nella tradizione veterotestamentaria Dio stesso veniva metaforicamente paragonato al sole:

“Poiché sole e scudo è il Signore Dio;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina con rettitudine” (Sal 84,12)[18].

Il vestito di sole viene collegato con il motivo di luce, che è sempre un attributo di divinità. Secondo il Libro di Daniele, la luce abita presso Dio: Il Signore “svela cose profonde e occulte e sa quel che è celato nelle tenebre e presso di Lui è la luce” (Dan 2,22). Egli fa risplendere il suo volto (Num 6,25; Sal 4,7). La sua legge è la luce per le nazioni (Isa 54,1; Sal 119,105). Questa simbolica del sole viene ancora allargata nei scritti qumranici. Gli abitanti di Qumran aspettavano il mondo futuro, quando “i figli della luce” prevaleranno sopra “i figli delle tenebre” (1QS 3,13–4,26). Nei rotoli di Qumran idea del regno messianico viene strettamente collegata con l’idea della lotta tra le luce e le tenebre[19]. Regola della guerra descrive la lotta dei “figli della luce” insieme alle schiere angeliche contro i “figli delle tenebre” e le schiere dei demoni (1QM 17,6-8)[20].

Negli apocrifi dell’Antico Testamento, la luce non è solo abitazione di Dio ma anche abitazione dei santi. Il Libro di Enoc descrive la vita futura dei giusti: “Felici siete voi, giusti ed eletti, e la vostra sorte sarà splendida! I giusti si troveranno nella luce del sole, gli eletti nella luce di vita eterna” (58,2-3). Tradizione ebraica collega il motivo della luce con la comparsa di Elia: “Il Messia-Re, quando arriverà, si metterà alla cima del Tempio e Israele sentirà la sua voce: I poveri miei, ecco il tempo della vostra redenzione! Se non credete ancora, guardate la luce, che mi veste!” (Pes. Rabba 35,37).

Nel Nuovo Testaento il significato del simbolo della luce è ancora più larga, soprattutto nei scritti di Paolo e Giovanni. Nel Prologo del Vangelo di Giovanni Logos e la luce sono segnati da un certo parallelismo. Per Giovanni Gesù è la luce e Dio stesso è la luce; questo vuol dire, che la luce divina risplende nelle opere e nell’insegnamento di Gesù. Egli è “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Ebr 1,3). Quelli che seguono Gesù, avranno la luce della vita (Giov 8,12).

In questa prospettiva Maria “vestita di sole”, cioè inclusa nell’ambiente della luce divina, partecipa nella gloria del Re Eterno. La donna nella visione di Giovanni, come abbiamo già menzionato, è anche il un simbolo della Chiesa, ma la Chiesa nella Bibbia è sempre legata all’idea del regno di Dio; così la Chiesa stessa assume le caratteristiche regali.

3.2. “Sta alla tua destra la regina” (Sal 45,10)

Il Salmo 45 è un canto nuziale per il Re-Messia[21]. Con molta probabilità nella sua origine il salmo si riferiva ad un re di Giuda; più tardi si cominciò a proiettarlo verso il Messia. I primi cristiani ammattevano il senso messianico senza rifiutare il senso letterale storico. Tradizione della Chiesa applica il v.10 alla Madonna: “Figlie di re stanno tra le tue predilette, alla tua destra la regina in ori di Ofir”. Il sostantivo ebraico shegal nella LXX viene tradotto come “la regina” (he basilissa), similmente nella Vlg: “astitit regina”. Alcuni esegeti vogliono vedere in shegal la promessa sposa del re, ma questa interpretazione non quadra con il testo. Il v.10 parla della “regina-madre”; dal v.11 in poi si tratta di “figlia”[22]. Anche le antiche usanze ebraiche sostengono tale interpretazione. Regina-madre è sempre più importante di moglie del re. Per esempio quando Batseba si avvicina a Davide, rimane ai suoi piedi, ma quando regna Salomone, la sua madre sta alla sua destra e il re si inchina davanti a lei.

Nelle cronache dei monarchi si evoca con grandissima stima il nome di madre di re[23], non di sua moglie, probabilmente anche perchè re poteva avere più di una moglie[24]. Geremia parla della madre del re, e non della sua moglie: “Dite al re e alla regina madre: Sedete giù in basso, poiché vi è caduta dalla testa la vostra preziosa corona” (Ger 13,18). I parenti di Acazia vanno a salutare “i figli del re e i figli della regina madre”(2Re 10,13). Quando Ieu faceva complotto contro del re Ioram, lo faceva a causa delle numerose magie della sua madre Gezabele (2Re 9,22). Ioiakin si arrende con i suoi ministri e con sua madre (2Re 24,12.15); poi va anche in esilio con sua madre. Anche per autore del Canto dei cantici regina-madre è al centro di interesse:

“Uscite, figlie di Sion,
guardate il re Salomone
con la corona che gli pose sua madre,
nel giorno delle sue nozze,
nel giorno della gioia del suo cuore” (Ct 3,11).

Possiamo dire con grandissima probabilità che in Sal 45,10 si tratta della regina-madre. E se le cose stanno così, niente di strano che i cristiani dei primi secoli hanno trovato qui la figura di Gesù Cristo e della sua Madre[25]. Per loro Gesù era il Messia, ma anche nella tradizione giudaica questo salmo veniva letto come messianico[26]. Questa convinzione basava sul seguente raggionamento: il salmo non può essere applicato a Salomone, perché Salomone on era un uomo di guerra e i suoi figli non erano principi di tutta  terra; acnora meno probabile sembra applicazione del salmo ad un altro re; si deve dunque applicare le parole del salmo al Messia, cioè a Gesù Cristo, e il v.10 alla sua Madre.

Poi si deve notare che tutti i brani menzionati sopra (Sal 45,10 incluso) mettono in luce il fatto che il tipo della regina-madre dell’Antico Testamento annuncia Maria Regina Madre di Cristo Re. L’analisi dettagliata dei brani dell’Antico Testamento, i quali riguardano la regina-madre (1Re 2,19-24; 15,13; 2Cron 15,16; 22,3; 2Re 10,12-13; 24,12-15; Isa 47,4-11; Ger 13,24-26), mettono in rilievo alcuni tratti caratteristici della vita, ruolo e posizione sociale di essa. Fra i più importanti sono i seguenti: la regina-madre deve essere un esempio della condotta morale e della saggezza; deve condividere la sorte del suo figlio re; molte volte deve sopportare le sofferenze; non può dimostrare la sua superiorità e non può usare la sua posizione per i proprii fini[27]. Tutte queste esigenze poste alla figura di regina-madre nel mondo ebraico si possono applicare in modo tipico alla Madre di Gesù, Re dell’universo.

4. Conclusione

L’idea del regnare di Maria non appare expressis verbis nella Bibbia. Nonostante questo, la tradizione cristiana trova due testi scritturistici, che – letti nel senso mariologico – possono indicare le fondamenta bibliche per il titolo “Regina” applicato alla Madre di Gesù Cristo. Nel testo di Apocalisse (12,1-18), oltre il senso ecclesiastico, appare anche il senso mariano ed è il senso letterale, perchè la figura della donna ha anche le charatteristiche individuali della Madre di Cristo. Sal 45,10 è un testo accomodato, già nell’antica tradizione della Chiesa applicato a Maria. Interpretando quel verso secondo le usanze ebraiche, secondo le quali regina-madre era sempre stimata più di moglie di re, si può vedere qui l’idea di regnare di Maria in prospettiva del regnare di Cristo[28]. Ma si deve dire con chiarezza che il titolo “Regina” applicato a Maria ha le sue radici prima di tutto nella Tradizione cristiana, non nella Bibbia stessa. I testi biblici assumono solo la funzione ausiliare per giustificazione del titolo “Maria-Regina”, ma non sono gli argomenti principali. Possiamo dunque concludere con affermazione che la Tradizione cristiana trova in alcuni testi biblici ispirazione per dimostrare la verità su Maria come Regina, anche se l’idea di regalità di Maria non appare direttamente nela Bibbia. La regalità di Maria si deve vedere sempre nel contesto e in stretta relazione con la regalità di Cristo.

SUMMARY 

Biblical Background for the Title “Queen Mary”

The Bible never presents expressis verbis Mary, the Mother of Christ, as a Queen. Is there any biblical background for that title? In this article the author indicates two texts which in the Christian tradition were used to sustain that Mary can be invocated as “Queen”. Rev 12,1-18 has first of all the ecclesiastical sense, but it can be interpreted also from the mariological perspective. The second text is Ps 45,10 which already in the primitive Church was interpreted in the mariological way.

 

[1] K. Stock sviluppa questo pensiero: “Nel Vangelo secondo Matteo Gesù parla del tesoro nascosto in un campo e della perla preziosa (13,44-46). Chi li trova e ne riconosce il valore è pieno di felicità e deciso a impegnare tutto per acquistarli; così Gesù annuncia il suo messaggio sul regno dei cieli”; Gesù annuncia la beatidudine. Il messaggio di Matteo, Roma 1989,5.

[2] T. HERGESEL, „Adoracja Cudotwórcy – Mateuszowa interpretacja cudów Jezusa”, Ruch Biblijny i Liturgiczny 12 (1979) 104-114.

[3] “Pietà di me, Signore, Figlio di Davide” (Matt 15,22); “Signore, aiutami!” (Matt 15,25);. “È vero, Signore, ma anche i cagnolini si cibano delle bricciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” (Matt 15,27).

[4] Per i contemporanei di Gesù i suoi miracoli erano i segni della venuta del regno di Dio; A. GEORGE, “Il miracolo nell’opera di Luca”, in: I miracoli di Gesù secondo il Nuovo Testamento, red. X. Léon-Dufour, tr. P. Crespi, Brescia 1990, 215.

[5] A.S. JASIŃSKI, Jezus jest Panem. Kyriologia Nowego Testamentu, Wrocław 1996, 74.

[6] J. KUDASIEWICZ, Odkrywanie Ducha Świętego. Medytacje biblijne, Kielce 1998, 262.

[7] Matt 27,11.29.37.42.

[8] M. ROSIK, Światło dnia trzeciego. Biblijne relacje o otwartym grobie i chrystofaniach, Wrocław 2004, 47-50.

[9] Un buon esempio di questa convinzione sono le parole di Dio rivolte a Samuele: “Ascolta la voce del popolo per quanto ti ha detto, perché costoro non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di essi” (1Sam 8,7).

[10] Cfr. il testo aramaico di Dan 3,33; 4,31; 6,21.

[11] Ci sono alcuni tratti caratteristici del regno di Dio, presenti nel Libro di Daniele e ripetuti nella letteratura qumranica ed apocalittica: “The reception of the elements from Dan 7 in the Qumran writings and the Jewish apocalyptic literature is concentrated around common themes. There are: a) the total victory of God over all enemies in the last days; b) the judgment and destruction of all enemies; c) the salvation of the faithful of God; d) the ruling of the Messiah and the righteous”; M. PARCHEM, Pojęcie królestwa Bożego w Księdze Daniela oraz jego recepcja w pismach qumrańskich i w apokaliptyce żydowskiej, Rozprawy i Studia Biblijne 9, Warszawa 2002, 509.

[12] P. ZDUN, Pieśni Ofiary Szabatowej z Qumran i Masady, Teksty z Pustyni Judzkiej 1, Kraków 1996, 29. Similmente del regno di Dio parla il Libro dei Giubilei (50,9) e il Libro di Enoc (91,11-17).

[13] E.P. Sanders spiega: „Poniamoci un’altra domanda: che cosa significava esattamente ‘Nessun padrone tranne Dio’? Evidentemente non l’anarchia. I sostenitori di questa filosofia sembra l’abbiano applicata principalmente contro il dominio da parte di Roma, di solito non contro i dominatori locali, e mai contro i propri capi”; Il giudaismo. Fede e prassi (63 a.C.-66 d.C.), Brescia 1999, 392. „The later Zealots rejected Roman rule, not because it was Roman, but because it was alien, and it is well known that Jews who inclined to Pharisaism never recognised the family of the Idumean Herod as a legitimate dynasty”; K.H. RENGSTORF, „lh/sthv””, Theological Dictionary of the New Testament IV, red. G. Kittel, Grand Rapids 1999, 258.

[14] C.H. DODD aveva intitolato il suo libro The Parables of the Kingdom (London 1948).

[15] M. ROSIK, Jezus a judaizm w świetle Ewangelii według św. Marka, Warszawa 2004, 594-600.

[16] Questi due testi fanno parte della Liturgia della Parola nella Solennità dell’Assunzione di Maria Santissima.

[17] R.H. MOUNCE, The Book of Revelation, The New International Commentary on the New Testament, Grand Rapids 1998, 231; K. ROMANIUK, A. JANKOWSKI, L. STACHOWIAK, Komentarz praktyczny do Nowego Testamentu, I, Poznań – Kraków 1999, 637.

[18] Cfr. anche Ct 6,10; Matt 17,2; Atti 26,13.

[19] Il momento cruciale in questa guerra sarà comparsa del profeta Elia che dovrebbe ristabilire la pace sulla terra (Mal 4,5) e preparare la via per il Messia; I.M. ZEITLIN, Jesus and the Judaism of His Time, Cambridge 1988, 116.

[20] Cfr. anche 1QM 12,11-18; 19,4.11.

[21] Secondo alcuni esegeti, Salmo 45 è un canto profano per uno dei re israelita (Salomone, Geroboàmo II o Acab), ma la tradizione, sia cristiana, sia quella giudaica lo interpreta delle nozze del Re-Messia con Israele o la Chiesa. Infatti Israele è qui la figura della Chiesa (cfr. Ez 16,8-13; Isa 62,5; Ct 3,11). L. Alonso Schökel spiega: “lo scriba o notaio che volle immortalare un nome non volle ricordarlo. Di che re si tratta? Di nessuno, di ciascuno, del Messia. Di nessuno in particolare: è un brano di repertorio. Di ciascuno: ogni investigatore sceglierà il suo preferito. Del Messia: così hanno pensato una tradizione giudaica e quella cristiana”; Trenta salmi. Poesia e preghiera, tr. A. Ranon, Studi biblici, Bologna, 1982, 193.

[22] Può darsi che il salmista non segue un ordine cronologico; C. SCHEDL, “Neue Vorschläge zu Text und Deutung des Psalmes 45”, Vetus Testamenum 14 (1964) 310-318.

[23] G. MOLIN, “Die Stelung der Gebirah im Staate Juda”, Theologische Zeitschrift 10 (1954) 161-175.

[24] “Maaca conservò il titolo (di regina) anche rispetto al nipote, e lo perdette per decisione di costui (1Re 15,13). Manca il nome della madre di Ioram e di Acaz; forse erano morte prima che i figli iniziassero a regnare. Attalia prende le redini del governo come madre del defunto Acozia; non si spiegano le sue relazioni con la madre di Ioacaz, il successore (1Re 12,2). Quando regno Ioacaz e Sedecia, si menziona la loro madre Camutàl, quando regna Ioiakim si nomina sua madre Zebida”; L. ALONSO SCHÖKEL, Trenta salmi. Poesia e preghiera, 183.

[25] In un altro modo questo versetto aveva interpretato sant’Agostino: “In qual modo (il Figlio di Dio) abbandonò anche la madre? Abbandonando la gente giudea, quella Sinagoga che si teneva stretta ai vecchi riti. A questo si vogliono riferire le prole che dicono: Chi è mia madre, o chi sono i miei fratelli? Perché egli all’interno insegnava, mentre essi stavano al i fuori. Vedete un po’ se non sono proprio così i Giudei: Cristo insegna nella Chiesa, essi stanno al di fuori. E chi è dunque la suocera? La madre dello sposo. La madre dello sposo, del nostro Signore Gesù Cristo, è la Sinagoga. Per questo la sua nuora, la Chiesa, che, venendo dalle genti, non ha acconsentito alla circoncisione carnale, si è divisa dalla suocera”; Ennarriationes in Psalmos: Ps 45.

[26] A. ALLEGIER, „Der König und die Königin des 44 (45) Psalms im Lichte des N.T. und der altchristlichen Auslegung”, Der Katholik 19 (1917) 145-173; F. OGARA, „Christo Regi, Ecclesiae Sponso dedicatus Psalmus 44”, Verbum Dei 14 (1934) 33-39; S. MINOCCHI, “I salmi messianici: Ps 45”, Rivista Biblica 12 (1903) 198-202. Sul messianismo del salmo in chiave giudaica cfr.: J.J. BRIERRE-NARBONNE, Exégèse targumique des Prophéties messianiques de l’Ancien Testament, Paris 1936, 66-69.

[27] U. SZWARC, “Królowa-matka w świetle tekstów Starego Testamentu”, Salvatoris Mater 6 (2004) 3,11-30.

[28] Questa convinzione è stata esposta da Paolo VI in Marialis Cultus: “secondo il perenne sentire della Chiesa, autorevolmente ribadito ai nostri giorni, vien riferito al Signore quel che è offerto in servizio all’Ancella; così ridonda sul Figlio quel che è attribuito alla Madre; (…) così ricade sul Re l’onore che vien reso in umile tributo alla Regina” (MC 6). Il Papa rievoca qui le parole di S. Ildefonso, De virginitate perpetua sanctae Mariae, cap. XII: PL 96, 108.