Letteratura giudaica dei primi secoli sulla persona di Gesù

 

Nonostante sia opinione comune che Gesù e i suoi discepoli fossero al centro dell’interesse dei Giudei nel I secolo, in realtà non fu così. Gesù era per i Giudei uno dei molti insegnanti itineranti; in quanto Maestro di Nazareth, egli divulgava il suo insegnamento fra il popolo. Gli scritti e i documenti giudaici del I secolo non dedicano molto spazio alla persona di Gesù e ai suoi discepoli. Le principali fonti extra-bibliche scritte dai Giudei che parlano di Gesù sono tre: Testimonium flavianum, Shemoneh Esreh, Talmud. Esamineremo l’immagine del fondatore del cristianesimo da queste fonti.

1. TESTIMONIUM FLAVIANUM

Giuseppe Flavio, un fariseo di  famiglia sacerdotale, comandante dell’esercito giudaico, dopo aver perso la battaglia sotto Iotapata, passò a servizio del nemico, assumendo il nome della dinastia imperiale. Le sue opere più famose sono: De bello Iudaico (75-79), Antiquitates iudaicae (93-94), Contra Apionem (97-98) e Vita (95).Il secondo di questi tre lavori narra la storia del popolo ebraico da Abramo fino alla distruzione del Tempio nel 70. Proprio in questa opera Giuseppe Flavio fa riferimento almeno tre volte a Gesù[1]. L’accenno a lui più importante, una delle principali testimonianze storiche sulla sua persona, è il cosidetto Testimonium flavianum. Questa testimonianza è contenuta nel capitolo decimottavo delle Antquitates iudaicae. Nella forma a noi tramandata si presenta come segue:

“Ci fu verso quel tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, ed attirò a sé molti Giudei, e anche molti greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì con la croce, non scomparvero coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia d’altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani” (Ant. XVIII, 63-64).

Il Testimonium flavianum è stato oggetto di numerosi studi esegetici. Senza dubbio alle parole di Giuseppe Flavio sono state fatte delle aggiunte da parte di coloro che credevano alla divinità di Gesù (queste aggiunte d’origine cristiana sono state evidenziate dal carattere corsivo). L’autenticità del passo è stata messa in dubbio già nel XVI secolo da Gifanio e Osiandro. Vi era la tendenza a dimostrare che il Testimonium fosse totalmente apocrifo, ma la maggioranza degli studiosi difende la tesi secondo cui si debba parlare solo delle aggiunte cristiane al  testo orginale di Giuseppe Flavio[2]. Ma può anche darsi che abbiamo a che fare con le glosse marginali introdotte nel testo da uno dei copisti antichi.

La forma del testo citata sopra è stata conosciuta già nei primi secoli del cristianesimo. Eusebio di Cesarea nei primi decenni del IV secolo la cita nelle sue opere due volte. Sembra che Origene, alla metà del secolo III, fosse a conoscenza di  un’altra forma del testo. Nel suo commento al vangelo di Matteo scrisse: “E la cosa sorprendente è che egli (Giuseppe Flavio), pur non ammettendo il nostro Gesù essere il Cristo, ciò nondimeno rese a Giacomo attestazione di tanta giustizia”[3]. Se Origene avesse conosciuto il testo sopra citato, attribuirebbe a Giuseppe Flavio la fede in Cristo. Probabilmenete Origene conosceva il testo senza aggiunte, ma è anche possibile che avesse confuso Flavio con un altro storico, Egesippo[4].

Eliminando le aggiunte cristiane, si nota che il testo conserva il suo senso, sia dal punto di vista storico che grammaticale. Anzi, privo di aggiunte, la narrazione diventa più scorrevole. Nel 1971 è stata scoperta la Storia universale, scritta in Siria nel X secolo, dal vescovo e storico cristiano Agapio di Ierapoli. Questo libro riporta una traduzione araba del Testimonium. Sembra che essa rappresentasse un testo migliore di quello greco:

“Similmente dice Giuseppe l’ebreo, poiché egli racconta nei trattati che ha scritto sul governo dei Giudei: ‘Ci fu verso quel tempo un uomo saggio che era chiamato Gesù, che dimostrava una buona condotta di vita ed era considerato virtuoso, e aveva come allievi molta gente dei Giudei e degli altri popoli. Pilato lo condannò alla crocifissione ed alla morte, ma coloro che erano stati suoi discepoli non rinunciarono al suo discepolato e raccontarono che egli era loro apparso tre giorni dopo la crocifissione ed era vivo, ed era probabilmente il Cristo del quale i profeti hanno detto meraviglie’”.

Questa versione del Testimonium flavianum è molto più compatibile con il pensiero di Giuseppe Flavio che il testo greco. La differenza fra le due versioni è notevole: nel testo greco sembra che Flavio condividesse la fede cristiana; in quello arabo si fa riferimento solamente a quanto i cristiani credessero alla persona di Gesù. Il testo arabo era probabilmente tradotto dal siriaco o dall’ aramaico.

Per la nostra riflessione la cosa più importante è scoprire qual’era l’opinione di Giuseppe Flavio riguardo a Gesù. Basandosi  sul testo senza le aggiunte cristiane, si possono trarre alcuni conclusioni. Prima di tutto, Giuseppe Flavio parla di Gesù come della persona “dotta” o “saggia” (è anche possibile la traduzione: “virtuosa”). Lo storico ebreo dunque colloca la persona di Cristo sulla linea dei saggi maestri d’Israele. Lo chiama anche  “autore di opere straordinarie”; probabilmente Giuseppe Flavio si riferisce qui all’ attività taumaturgica di Gesù. I vangeli (soprattutto quello di Marco) sottolineano diverse volte che Gesù attirava la gente con i suoi miracoli e come fosse diffusa la sua fama di autore di tali opere. Fra gli ascoltatori del Maestro di Nazareth – afferma Flavio – vi erano sia Giudei, sia pagani (greci), tutti quanti “uomini che accolgono con piacere la verità”. Alla luce di questa espressione, Gesù appare come una persona che ama la verità e per essa è capace di sacrificare propria vita. Anche dopo la sua morte sulla croce “non cessarono coloro che da principio lo avevano amato”.

Concludendo possiamo indiscutibilmente affermare che lo storico giudeo proclama la fama di Gesù di  maestro della verità e di taumaturgo. Giuseppe Flavio, anche se non crede nella divinità e nella dignità messianica di Gesù, non è ostile verso di Lui.  La situazione cambia sostanzialmente nelle altre testimonianze giudaiche sul fondatore del cristianesimo.

2. SHEMONEH ESREH

Per i cristiani, “benedizione” è una formula con cui si chiede Dio la sua grazia. Per gli ebrei invece “benedizione” è una preghiera di contemplazione davanti alle grandi opere di Dio; la persona che prega esprime la lode per quanto il Signore compie nella storia e nella natura[5]. Il concetto di contemplazione è quello ebraico: è la contemplazione che non si stacca dalla terra e dalla vita di ogni giorno. Nella genizah del Cairo è stata trovata la preghiera detta Diciotto Benedizoni (Shemoneh Esreh). Genizah è una stanza, una specie di deposito, dove venivano collocati testi sacri che non potevano più essere  usati nella liturgia sinagogale, o altri testi che contenevano il nome di Dio e pertanto non potevano essere distrutti. Shemoeh Esreh ci fornisce un cenno sulla devozione giornaliera del popolo giudaico. Veniva recitata due o tre volte al giorno. Il Catechismo della Chiesa Cattolica si riferisce a questa usanza: “Questo dono inscindibile, delle parole del Signore e dello Spirito Santo che le vivifica nel cuore dei credenti, è stato ricevuto e vissuto dalla Chiesa fin dalle origini. Le prime comunità  recitano la Preghiera del Signore « tre volte al giorno », in luogo delle « Diciotto benedizioni » in uso nella pietà ebraica” (2767).

Sicuramente questa preghiera veniva recitata anche nelle sinagoghe in quanto il suo frasario è  più comunitario che individuale[6]. Il Dio d’Israele viene presentato nelle preghiera come creatore del cielo e della terra; come colui che risuscita i morti; come colui che desidera il pentimento e perdona con prontezza; come colui che guarisce i malati e garantisce abbondante raccolto; come colui che ama la giustizia, maledice gli apostati e mostra misericordia ai convertiti[7]. Per il nostro tema, più interessante è la benedizione segnata da numero dodici, detta anche “la maledizione degli eretici”:

„Che per gli apostati non vi sia speranza; sradica prontamente dai nostri giorni il dominio dell’usurpazione, e periscano in un istante i nocerim ed i minim: siano cancellati dal libro della vita e non siano iscritti con i giusti. Benedetto sei tu, Signore, che schiacci gli arroganti”[8].

Il nome di Gesù non viene citato nel testo della preghiera, ma gli studiosi sono d’accordo sul fatto che si parli dei cristiani in quanto discepoli di Cristo, nominati come nocerim. Questa benedizione è stata aggiunta al corpus del testo probabilmente nel II secolo. Secondo la tradizione ebraica, “Simone, il mercante di cotone, dispose le diciotto benedizioni secondo il loro ordine al tempo di Rabban Gamaliel a Javne. Rabban Gamaliel disse ai saggi: „Non c’è nessuno tra voi che sappia formulare la berakah contro gli eretici?” Samuele il Piccolo allora s’alzò e la formulò” (bBer. 28b). Alcuni studiosi sostengono che il termine minim indicasse i cristiani, ma questo termine sta a significare “eretici” o “apostati” in generale. Sembra dunque che i nocerim fossero “i Nazareni” cioé i giudeo-cristiani. In Matt 2,23 Gesù viene chiamato “il Nazareno”. Il testo della benedizione allude probabilmente a questo nome ed anche ad una convinzione degli Ebrei, espressa nella domanda di Natanaele: “Può venire qualcosa di buono da Nazareth?” (Giov 1,46). La dodicesima benedizione mostra dunque una dose d’ostilità verso i cristiani, ed indirettamente  verso lo stesso Gesù .

Anche i primi cristiani (tra di loro i Padri della Chiesa) testimoniano la maledizione dei Giudei nei confronti dei cristiani durante la preghiera[9]. Basta riportare qui le parole di Girolamo: “(Iudaei) usque hodie perseverant in blasphemiis et ter per singulos dies in omnibus synagogis sub nomine Nazarenorum anathematizant vocabulum Christianum” (In Esaiam 5,18-19).

3. TALMUD

Ancora più ostili verso la persona di Gesù sono alcuni passi del Talmud. Fra gli studiosi si discute ancora oggi su quali passi parlino senza dubbio di Gesù e quando essi siano stati introdotti nel testo[10]. La tradizione testuale molteplice e molte varianti degli stessi frammenti del Talmud rendono la discussione ancor più complicata; noi ci limitiamo solo ai frammenti che con massima probabilità riguardano la persona di Gesù.

Nel trattato Sanhedrin Gesù viene accusato di praticare la magia: “Viene tramandato: [al venerdì][11] alla sera della Parasceve si appese Gesù [ha noceri, “il cristiano”]. Un araldo per quaranta giorni uscì davanti a lui: «Egli [Gesù ha noceri] esce per essere lapidato, perché ha praticato la magia e ha sobillato e deviato Israele. Chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e l’arrechi per lui». Ma non trovarono per lui alcuna discolpa, e lo appesero [al venerdì] alla sera della Parasceve” (Sanh. 43b)[12]. La mezione all’araldo è probabilmente di carattere apologetico contro i racconti dei vangeli, secondo i quali il giudizio su Gesù era ingiusto e contro la Legge. Ciò significa che ci sono studiosi (anche se pochi) secondo i quali il testo parla di un’altra persona, non di Gesù. C’è anche un’altro passo in cui Gesù – direttamente – viene accusato di eresia. Rabbi Elieser ben Hirkanos racconta: “Io, una volta, passeggiavo sulla strada superiore di Sepphoris, e trovai un uomo dei discepoli di Gesù na-noceri e Giacomo da Kfar Siknaja era il suo nome. Egli mi disse: «Sta scritto nella vostra Torah: ‘Tu non devi portare il prezzo del meretricio e del cane nella casa del Signore Dio tuo’ [Deut. 23,19]. Si può dunque fare una latrina per il sommo sacerdote?» Ma io gli risposi di no. Egli mi disse: «Così mi ha insegnato Gesù ha-noceri: ‘Dal prezzo del meretricio è raccolto, al prezzo del meretricio deve tornare’ [Mic. 1,17]. Dal luogo della sporcizia sono venuti, al luogo della sporcizia devono tornare». E la cosa mi piacque, e per questo sono stato arrestato, per eresia” (Avoda Zara 16b). Molti vedono in questo passo una chiara allusione al racconto di Matteo: “I capi dei sacerdoti presero quei denari (di Giuda) e dissero: ‘Non è lecito metterli nel tesoro del tempio, perché è prezzo di sangue’. E, tenuto consiglio, comprarono con quel denaro il campo del vasaio, come luogo di sepoltura per i forestieri” (Matt 27,6-7).

Un altro frammento sembra alludere alla persona di Gesù  : “Se qualcuno ti dice: «Io sono Dio», egli è un mentitore; «Io sono il figlio dell’uomo», alla fine dovrà pentirsene; «Io ascenderò al cielo», egli ha detto questo, ma non lo compirà” (Taan. 2,1). I cristiani professarono fortemente la fede nella divinità di Cristo; Gesù attribuiva a se stesso il titolo “Figlio dell’uomo”; La Chiesa era anche convinta che il Signore è salito al cielo. Questo brano del Talmud può facilmente essere applicato a Gesù.

Nel Talmud si parla spesso di un certo Gesù ben Pandira, che per molti studiosi viene identificato con Gesù di Nazaret. Non sappiamo se tale identificazione sia corretta.Basta dire che anche Celso parlava di “Gesù figlio di Panther” e che tale riferimento può essere il risultato della confusione fra due nomi: Pandira e parthenos, “vergine” (Gesù come figlio della vergine). Se questa identificazione è corretta, la lista delle accuse rivolte contro il fondatore del cristianesimo si allarga ampiamente. Gesù viene visto come un figlio illegittimo:

“Di tutti coloro che sono colpevoli di morte secondo la Legge, egli solo viene preso con uno stratagemma. In che modo? Accendono una candela in una stanza interna e mettono dei testimoni in una stanza accanto da dove, senza essere visti, possono vederlo e udirlo. Poi, quello che egli aveva cercato di sedurre gli dice ‘Per favore, ripeti qui privatamente quello che mi hai detto prima’. Se il seduttore ripete quello che aveva detto, l’altro gli chiede ‘Ma come possiamo lasciare il nostro Dio che è nei cieli e servire degli idoli?’ Se il seduttore si pente, allora tutto è a posto. Ma se egli dice ‘E’ nostro dovere e diritto di farlo’, allora i testimoni che l’hanno sentito dalla stanza accanto lo portano davanti al giudice e lo uccidono con la lapidazione. Questo è ciò che fecero al figlio di Stada a Lud, ed essi lo appesero alla viglia della Pasqua. Perchè questo figlio di Stada era il figlio di Pandira. Infatti il rabbino Chasda ci dice che Pandira era il marito di Stada, sua madre, ed egli visse durante la vita di Paphus, il figlio di Jehuda. Ma sua madre era Stada, Maria di Magdala (una parrucchiera per signore) che, come dice il Pumbadita, aveva lasciato il marito” (Sanh. 67a)[13].

Lo stesso trattato Sanhedrin (103a) spiega le parole del Salmo 91, 10: “Nessun flagello verrà mai vicino alla tua casa”. L’autore scrive: “Che tu non possa mai avere un figlio o un discepolo che sali il suo cibo tanto da distruggersi il gusto in pubblico, come Gesù il Nazareno”[14]. Si deve spiegare in questo contesto il significato della metafora “salare troppo il proprio cibo”. Questa metafora di carattere proverbiale indica la persona che corrompe la sua moralità o si disonora, o che cade in eresia ed idolatria.

4. RIASSUNTO

L’immagine di Gesù Cristo negli scritti ebraici extra-biblici è piuttosto negativa. Neutrale appare solo la menzione di Giuseppe Flavio, chiamata Testimonium flavianum, la quale afferma la storicità di Gesù e riporta le credenze dei cristiani su di Lui. La dodicesima benedizione delle Shemoneh Esreh non dice niente direttamente contro Gesù, ma mostra i cristiani come gli eretici che devono perire. La peggiore opinione sulla persona di Gesù viene presentata nel Talmud. Gesù è visto come un figlio illegittimo, come un mago e stregone, come persona di scarsa moralità. Avendo presente tutte queste caratteristiche negative del Mastro di Nazareth, non si deve dimenticare della grande confusione fra i nomi, le persone e i fatti presentati in questo libro. Questa confusione priva le menzioni del Talmud su Gesù del valore della storicità.

 

[1] Nel racconto della illegale lapidazione dell’apostolo Giacomo, detto tradizionalmente il Minore, che era a capo della comunità cristiana di Gerusalemme, avvenuta nel 62, Giuseppe Flavio nota: “Anano […] convocò il sinedrio a giudizio e vi condusse il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e alcuni altri, accusandoli di trasgressione della legge e condannandoli alla lapidazione” (Ant. XX, 200). Lo storico giudeo considera atto di lapidazione come sconsidetaro, perché secondo lui Giacomo era un uomo virtuoso. L’altro accenno a Gesù appare nel racconto della guerra tra Erode e il re di Nabatene, la quale sorse quando Erode aveva rifiutato do sposare la figlia di questo re: “Ad alcuni dei Giudei parve che l’esercito di Erode fosse stato annientato da Dio, il quale giustamente aveva vendicato l’uccisione di Giovanni soprannominato il Battista. Erode infatti mise a morte quel buon uomo che spingeva i Giudei che praticavano la virtù e osservavano la giustizia fra di loro e la pietà verso Dio a venire insieme al battesimo; così infatti sembrava a lui accettabile il battesimo, non già per il perdono di certi peccati commessi, ma per la purificazione del corpo, in quanto certamente l’anima è già purificata in anticipo per mezzo della giustizia. Ma quando si aggiunsero altre persone – infatti provarono il massimo piacere nell’ascoltare i suoi sermoni – temendo Erode la sua grandissima capacità di persuadere la gente, che non portasse a qualche sedizione – parevano infatti pronti a fare qualsiasi cosa dietro su a esortazione – ritenne molto meglio, prima che ne sorgesse qualche novità, sbarazzarsene prendendo l’iniziativa per primo, piuttosto che pentirsi dopo, messo alle strette in seguito ad un subbuglio. Ed egli per questo sospetto di Erode fu mandato in catene alla già citata fortezza di Macheronte, e colà fu ucciso” (Ant. XVIII, 116-119).

[2] „Si è notato che se il passo su Gesù fosse stato costruito a tavolino da un interpolatore cristiano, sarebbe stato verosimilmente inserito subito dopo il resoconto di Giuseppe su Giovanni Battista, mentre in Giuseppe l’accenno a Gesù non segue il racconto di Giovanni. D’altra parte, sarebbe strano che Giuseppe abbia omesso di registrare qualche informazione su Gesù, dato che si occupa del Battista, di Giacomo e di altri personaggi del genere; né il cristianesimo, da storico qual era, gli poteva essere ignoto, essendo a quei tempi penetrato fin nella famiglia imperiale”; http://www.christianismus.it/sezstorico/doc0002/pgflavio.html#sdfootnote1sym#sdfootnote1sym.

[3] Commentarium in Matthaeum X,17.

[4] Forse anche favorita da somiglianza dei nomi, pronunciati in greco rispettivamente Ighìsippos e Iòsipos.

[5] “La tradizione ebraica nota che il racconto della creazione in Gn 1,1 ss. e “benedizione” cominciano con la stessa lettera, e si dice che fra tutte le lettere dell’alfabeto, Dio scelse la b come lettera iniziale della Scrittura proprio per questo fatto, indicando così cge il mondo poggia e sussiste in grazia della benedizione”; S. CAVALLETTI, Il giudaismo intertestamentario, Brescia 1991, 81-82.

[6] La struttura delle Diciotto Benedizioni è già stata presentata nel capitolo riguardante lo schema della liturgia sinagogale.

[7] E.P. SANDERS, Il giudaismo. Fede e prassi (63 a.C.-66 d.C.), trad. P. Capelli, L. Santini, Brescia 1999, 283.

[8] J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, Brescia 1994, 63. E’ possibile anche un’altra traduzione: “Non ci sia speranza per i delatori e periscano presto tutti quelli che fanno il male, e siano tutti prontamente distrutti; e sradica e spezza e abbatti e umilia gli insolenti, senza indugio, ai nostri giorni. Benedetto sei tu, Signore, che spezzi i nemici e umìli gli insolenti”; E. SCHÜRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo, II, Brescia 1987, 549.

[9] W. HORBURY, “The Benediction of the Minim and Early Jewish-Christian Controversy”, Journal of Theological Studies 33 (1982) 19-61.

[10] “Per il giudaismo il cristianesimo fu in un primo tempo un fenomeno marginale tra altri; più tardi, il cristianesimo innalzato a religione di stato fu a tal punto visto come la prosecuzione di «Roma», che elementi specificamente cristiani non vennero nemmeno percepiti in quanto tali. Le affermazioni anticristiane contenute nei testi rabbinici riposano su interpolazioni e rielaborazioni posteriori, e sono quindi da considerarsi come fonti per la conoscenza dei rapporti tra giudaismo e cristianesimo non nell’antichità bensì nel primo medioevo”; J. MAIER, Gesù Cristo e il cristianesimo nella tradizione giudaica antica, dalla presentazione in copertina.

[11] Le parole nelle parentesi appaiono solo nei alcuni manoscritti.

[12] “Il rabbino Eliezer disse agli Anziani: ‘Non è vero che il figlio di Stada esercitava la magia egizia incidendosela nella carne?’ Essi risposero: ‘Era un pazzo, e noi non prestiamo attenzione a quello che fanno i pazzi. Il figlio di Stada, il figlio di Pandira, ecc.’”(Sab. 104 b). Per alcuni Gesù non era solo un mago e stregone (cosi viene chiamato anche nel libro Telodoth Jeshu), ma anche un pazzo.

[13] Una nota a margine del trattatello Chagigah, 4b spiega: “Questa storia di Maria, parrucchiera per signore, si riferisce al periodo del Secondo Tempio. Essa era la madre di Peloni, 'quell’uomo,’ come viene chiamato nel trattatello Schabbath” (104b).

[14] Nello stesso trattato Sanhedrin (107b) si legge: “Mar disse: Gesù sedusse, corruppe e distrusse Israele”.