Nella narrazione della morte di Gesù (Mc 15,33-39) Marco nota: “Il velo del tempio si squarciò in due, dall’alto in basso” (Mc 15,38). L’esegesi odierna ci propone diverse interpretazioni del simbolo del velo del tempio, che si squarciò quando Gesù moriva sulla croce. Secondo J. Marcus il velo squarciato è un segno visibile della fine della istituzione centrale del giudaismo, cioè del tempio stesso[1]. F. Watson sostiene che questo simbolo significa che Dio non apprezza più il sistema offertorio dell’Antico Testamento e nello stesso tempo Dio abbandona il popolo eletto dell’antica alleanza[2]. P.A. Cunningham pensa che l’immagine del velo lacerato abbia nella narrazione marciana due significati: il primo è questo di esprimere l’ira di Dio cotro il tempio che dovrà essere distrutto (questa distruzione è gia stata preannunziata sia direttamente in Mc 13,2, sia attraverso azione profetica di scacciare i venditori dal tempio in Mc 11,15-18 e di maledire il fico in Mc 11,12-14.20-25); il secondo è quello di esprimere l’idea che anche i popoli pagani avranno accesso alla salvezza[3]. Questa ultima interpretazione viene sostenuta da H. Langkammer[4]. Secondo l’opinionie di J.P. Heil, con la squarciatura del velo del tempio è venuto il momento dell’inizio di un tempio nuovo, costruito non con le mani degli uomini, cioè è venuto il tempo della Chiesa che costituisce l’unico tempio di Dio[5]. Secondo G. Witaszek invece il velo squarciato significa che il tempio dei giudei non è più il segno della presenza divina; il vero segno della presenza divina è il corpo di Gesù[6]. Quel simbolo finalmente può essere visto attraverso l’usanza semitica dello strappare delle vesti. Questo gesto era un gesto di lutto dopo la morte di una persona molto cara. Secondo questa interpretazione il velo del tempio era una “veste” dietro la quale abitava la Presenza Divina, la Shekinah. Menzionando la lacerazione del velo dopo la morte di Gesù, Marco indica il dolore del Padre, il cui Figlio morì. Dio strappa la sua veste, aprendo nello stesso tempo l’accesso alla salvezza per tutti.
Le interpretazioni del velo squarciato si moltiplicano nell’esegesi odierna. Alcune di esse sembrano stare lontano dal testo della narrazione marciana. Dobbiamo dunque porci una domanda molto precisa: quale è il significato di questo simbolo, il significato determinato e pensato da Marco? Perchè l’evangelista mette in risalto questo fatto della squarciatura del velo? Quale è il ruolo che Marco attribuisce a quel fatto nella struttura della sua opera? Sembra che la chiave per ritrovare le risposte giuste a queste domande consiste nell’analogia tra due narrazioni: il bettesimo di Gesù (Mc 1,9-11) e la sua morte sulla croce (Mc 15,33-39). Perciò il nostro itinerario sarà qui ben preciso; esso si attua in tre tappe: l’analisi delle caratteristiche della narrazione del battesimo di Gesù (1), l’analisi delle caratteristiche della pericope che racconta la morte di Gesù (2) e la presentazione delle analogie che esistono tra le due narrazioni. Queste tre tappe della nostra ricerca ci aiuteranno di capire meglio il significato del simbolo del velo squarciato nella teologia marciana.
Il battesimo di Gesù (Mc 1,9-11)
In questo lavoro vogliamo sottolineare quattro caratteristiche nel racconto del battesimo di Gesù nel Giordano: la figura di Giovanni Battista, l’apertura dei cieli, la discesa dello Spirito Santo e la voce del Padre che rivela la figliolanza divina di Gesù.
Giovanni Battista nel ruolo di Elia
I Giudei, ai tempi di Gesù, aspettavano il ritorno di Elia prima del Giorno del Signore, preannunziato dai profeti. Queste loro aspettative erano radicate nel brano di Malachia: “Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perchè converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri” (Mal 3,23-24a). Alcuni esegeti ricorrono anche ai testi di Sir 48,10 e Mal 3,1-4 allo scopo di sostenere questa convinzione dei Giudei[7]. Gesù stesso condivideva queste aspettative dei suoi contemporanei; anzi, spiegava che Giovanni Battista era Elia, che avrebbe dovuto venire nel mondo. Dopo la sua trasfigurazione, durante la quale Egli vide Elia assieme a Mosè, ammaestrava i suoi seguaci: “Io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui” (Mc 9,13).
Il ruolo di Giovanni Battista in quanto precursore del Messia consisteva nel battezzare[8]. L’inizio dell’attività pubblica di Gesù viene fatta partire proprio dal battesimo di Giovanni. Dopo il battesimo, Gesù trascorre quaranta giorni nel deserto e poi inizia la sua attività di predicatore e di taumaturgo. La menzione della venuta di Gesù in Mc 1,9 è presentata dall’evangelista come realizzazione delle parole di Giovanni: „Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali” (Mc 1,7). La storicità dell’evento va sottolineata per la menzione di Nàzaret di Galilea[9]. La descrizione del battesimo stesso è molto breve e laconica: “fu battezzato nel Giordano da Giovanni”. Sembra che la brevità di questo recconto serve a mettere in risalto il messaggio principale della narrazione: affermazione della dignità messianica di Gesù e della sua figliolanza divina[10].
Il cielo aperto
La teofania che segue dopo il bettesimo di Gesù viene introdotta da Marco con l’avverbio „subito”. Questo avverbio è tipico di Marco; lo usa 41 volte nel suo vangelo. Di solito serve solo per collegare due elementi della narrazione, qui, invece, sembra sottolineare il fatto dell’immediatezza della teofania avvenuta subito dopo il battesimo. La teofania comprende tre elementi: apertura dei cieli, discesa dello Spirito Santo e la voce di Dio. Due verbi contrapposti, „salire” e „scendere”, determinano la relazione tra il battesimo e l’azione dello Spirito Santo. Il tempo presente del verbo „salire” fa pensare, che l’apertura dei cieli, la discesa dello Spirito Santo e la voce del Padre avvengono piuttosto per l’iniziativa divina e non siano la conseguenza del battesimo. La frase che parla dell’apertura dei cieli appartiene alla terminologia apocalittica. Basta richiamare il passo di Isaia: „Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Isa 63,19b). La forma di passivum divinum del verbo scizome,nouj ancora una volta sottolinea iniziativa divina dell’apertura dei cieli.
La discesa dello Spirito Santo
Il secondo elemento della teofania è la discesa dello Spirito Santo sotto forma di colomba: “E, uscendo dall’acqua, (Gesù) vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba” (Mc 1,10). Il paragone dello Spirito Santo ad una colomba, anche se appartiene all’apocalittica giudaica, non possiede paralleli nella letteratura ebraica, sia biblica che extra-biblica[11]. Sembra poco probabile che il simbolo della colomba sia derivato dall’antica mitologia egiziana o persiana; meglio pensare alla interpretazione di Gen 1,2 (“Lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”)[12] o della colomba di Noè (Gen 8,9)[13]. In entrambi casi (Gen 1,2 e 8,9) il simbolo indica l’attività divina. Anche nel caso del battesimo di Gesù l’iniziativa di mandare lo Spirito viene attribuita a Dio. La scelta del simbolo della colomba potrebbe anche richiamare altri due testi dell’Antico Testamento. L’autore del Salmo 57 prega: “Pietà di me, pietà di me, o Dio, in te mi rifugio; mi rifugio all’ombra delle tue ali finché sia passato il pericolo” (Sal 57,2; cfr. anche Sal 68,12-14). Il simbolo della colomba del battesimo, interpretato alla luce di questi passi dei salmi, indicherebbe l’amore che unisce Gesù e il Padre. Senza dubbio Marco voleva presentare la scena come percezione visiva; proprio per questo ha scelto il segno visibile nella forma della colomba. Lo Spirito Santo era sempre presente nella vita di Gesù. La discesa dello Spirito durante il battesimo è solo la conferma che questo Spirito accompagnerà il Messia durante tutta la sua missione storica. Così si adempiono le parole del Battista: “Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo” (Mc 1,8b): Gesù concederà agli altri lo Spirito che lui stesso posiede.
La voce del Padre
La visione dello Spirito che scende dal cielo sotto forma di colomba, viene accompagnata da una voce, che deve essere identificata come la voce di Dio. „Te sei” assume la funzione di formula predicativa (por. Ps 109,4: „Il Signore ha giurato e non si pente: Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek”, LXX). Il contenuto della frase pronunciata dalla voce del Padre, interpretato alla luce del Sal 2,7b („Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato”), possiede la sfumatura messianica: Gesù come Figlio di Dio è anche il Messia, aspettato dai giudei. La struttura dell’opera marciana rivela il valore cristologico del titolo „figlio di Dio”. Questo titolo appare all’inizio del vangelo (Mc 1,1), nel centro (Mc 9,7) e alla fine della narrazione (Mc 15,39). Prendendo in considerazione diversi modi in cui il titolo “figlio” riguarda Gesù, possiamo elencare otto occorrenze di questo termine nel vangelo di Marco[14]. Per il nostro tema le più importanti sono tre: Dio si rivolge a Gesù come “il figlio prediletto” (1,11); i demoni rivelano identità di Gesù come “il figlio del Dio altissimo” (5,7); il sommo sacerdote chiede Gesù se lui sia “il figlio di Dio benedetto” (14,61).
Ai tempi di Gesù il titolo “figlio di Dio” sempre più spesso viene usato per indicare il Messia. La promessa di Natan (2Sam 7,5-16) è applicata al Messia nei testi qumranici (4QFlor 10-14). 1Q Sa 2,11 applica Sal 2,7 al Messia. Anche i testi del Nuovo Testamento interpretano Sal 2,7 come messianico (Lc 1,32: Ebr 1,5; 5,5). La visione dunque che Gesù riceve dopo il suo battesimo funziona come la conferma della missione che lui deve iniziare. Lo stesso succedeva anche ai profeti (Isa 6; Ez 1). Nel caso di Gesù questa missione ha un valore messianico[15].
Il termine “prediletto” poteva essere usato nel mondo semitico come un sinonimo di “primogenito”. LXX spesso traduce „primogenito” come „prediletto” (Gen 22,2.12.16; Am 8,10; Za 12,10)[16]. In tutti questi casi si parla del figlio primogenito nella relazione alla sua morte (cfr. anche: Gdc 11,34 e Ger 6,26). In questa prospettiva l’uso del termine “prediletto” nella narrazione del battesimo di Gesù potrebbe già indicare e preannunziare in modo indiretto la sua morte[17].
La morte di Gesù (15,33-39)
Fra molti motivi presenti nella narrazione della morte di Gesù sulla croce vogliamo attirare attenzione su quattro di essi: l’interpretazione sbagliata dei testimoni della preghiera di Gesù, il ruolo dello Spirito nel racconto, il velo squarciato e la confessione del centurione.
L’assenza di Elia
Marco nota che la voce di Gesù quando pronunciava le parole del salmo “Mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abandonato?” (Mc 15,34; cfr. Sal 22,2) era “grande”. La stessa caratteristica di una voce ancora due volte appare nel vangelo di Marco: 1,26 e 5,7. In entrambi i casi si tratta di una forza soprannaturale della voce; gridano i demoni che devono essere scacciati. Per analogiam possiamo dedurre che anche la voce di Gesù sulla croce non era solo la sua voce naturale, ma piuttosto era la voce dello Spirito Santo. E’ difficile supporre che un moribondo gridasse con voce forte, sopratutto quando sono passate tre ore di agonia[18]. La frase pronunciata da Gesù contiene le prime parole del salmo (Sal 22,2a). Questo salmo appartiene al gruppo delle lamentazioni individuali (Sal 6; 7; 38; 87; 102; 142)[19]. La somiglianza fonetica tra il nome di Elia e il termine aramaico “Dio” con suffisso pronominale “mio” confonde alcuni testimoni della scena; pensano che Gesù chiama Elia: “Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: Ecco, chiama Elia” (Mc 15,35). Il fatto dellla interpretazione sbagliata del grido di Gesù viene poi sottolineato un’altra volta: “Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce” (Mc 15,36b). Sembra che questo episodio con la persona di Elia sia stato introdotto nella narrazione della morte di Gesù con uno scopo molto preciso e accurato: Marco voleva formare la sua relazione facendo riferimento al battesimo di Gesù. All’inizio della attività di Gesù Elia (Giovanni Battista) era presente; adesso non c’è più.
Lo Spirito Santo nella morte di Gesù
La menzione della morte di Gesù è molto breve: “Gesù, dando un forte grido, spirò” (Mc 15,37). L’uso del verbo evxe,pneusen indica la dignità della morte; proprio per questo Marco evita l’uso del verbo più popolare, avpe,qanen. C’era anche un’altra ragione per cui l’evangelista ha scelto il verbo evxe,pneusen. Questo termine deriva dal sostantivo pne,uma, “spirito”. Lo spirito umano di Gesù era “riempito” dello Spirito Santo. Così il verbo “spirò” assume la sfumatura di “restituire lo spirito”. Morendo Gesù ha restituito lo Spirito ed era lo stesso Spirito che lui aveva ricevuto durante il battesimo.
Il velo squarciato
La menzione di Marco che dopo la morte di Gesù “il velo del tempio si squarciò in due” (Mc 15,38) nel codice Bezae e nella versione di Vetus Itala è ancora più forte; si dice che “il velo del tempio si squarciò in due parti diverse”. Così la forza dello Spirito che esce dal corpo di Gesù divide in due il velo appeso all’entrata del Debir (può darsi anche che si tratti di velo esterno)[20]. Diverse sfumature del sostantivo pne,uma sostengono tale interpretazione. Il termine può significare “spirito”, “vento” e “sospiro”. L’ultimo sospiro di Gesù, come un vento dello Spirito, squarciò in due il velo del tempio[21].
La confessione del centurione
Di solito si pensa che il centurione si avesse trovasse “di fronte” alla croce, invece la lettura accurata del versetto Mc 15,39 può anche significare che il soldato stava di fronte al tempio. Da questa posizione poteva vedere perfettamente che cosa succedeva al velo del santuario. Era lo squarciarsi del velo piuttosto che la morte di Gesù a indurre il centurione a confessare la figliolanza divina del Messia (v.39). E’ anche possibile che la frase “spirare in quel modo” possa indicare che Gesù spirò così che aveva causato lo squarciarsi del velo. La confessione del centurione sta nel contrasto con le accuse di bestemmie rivolte a Gesù da sommo sacerdote (Mc 14,61b-64). Il titolo „figlio di Dio” nella confessione assume la posizione enfatica. Anche il proverbio “veramente” funziona come enfasi. Il titolo „figlio di Dio” risuona molto significativo nell’ambiente dei destinatari del vangelo di Marco: sono gli abitanti di Roma, dove a Cesare veniva nominato con le parole divi filius[22].
Analogie narrative tra il battesimo e la morte di Gesù.
Le analisi fatte finora ci spingono a ritenere che Marco vede la morte di Gesù nella prospettiva del suo battesimo nel Giordano[23]. Il battesimo ricevuto dalle mani di Giovanni inizia l’attività pubblica di Gesù; la morte sulla croce pone fine alla sua attività storica (terrena). Fra questi due eventi Gesù svolge la sua attività di Maestro e di Taumaturgo. Il legame tra questi due eventi diventa più chiaro nella prospettiva del racconto su domanda dei figli di Zebedèo (Mc 10,35-41): proprio qui per indicare la morte, Marco (o Gesù stesso) usa il simbolo del battesimo (Mc 10,39b)[24]. Il legame tra il racconto del battesimo e il racconto della sua morte viene sottolineato da Marco attraverso diverse analogie.
All’inizio dell’attività messianica di Gesù è presente Giovanni Battista che poi viene identificato come Elia. Gesù spiega ai suoi descepoli: “Io vi dico che Elia è gia venuto, ma hanno fatto di liu quello che hanno voluto” (Mc 9,13). Così si sono adempite le parole di Mal 3,23-24 e si sono avverrate le aspettative dei giudei che prima della venuta del Messia dovesse apparire Elia. Alla fine dell’attività storica di Messia, cioò durante la morte di Gesù, Elia non è più presente. Marco mette in rilievo questo fatto notando l’interpretazione sbagliata della preghiera di Gesù (Eloì, Eloì, lemà sabactani) fatta da alcuni circostanti.
Dopo il battesimo Gesù riceve lo Spirito Santo che scende su di lui nella forma di una colomba. La forza dello Spirito accompagna Gesù durante tutta la sua attività messianica. Quando essa finisce, lo Spirito esce dal corpo di Gesù. Dopo il bettesimo nel Giordano si aprono anche i cieli. Questo fatto preannunzia l’apertura dei cieli a tutti quelli che ricevono i frutti della morte redentrice del Salvatore. Questa apertura viene segnata simbolicamente nel fatto dello squarciarsi del velo del tempio. Analogia è molto acurata perchè – come nota Giuseppe Flavio (De Bello Judaico 5.5.4) – il velo era adornato per raffigurare i cieli. Marco usa lo stesso verbo per descrivere l’apertura dei cieli durante il battesimo di Gesù e per segnare lo squarciarsi del velo del tempio (scizome,nouj in Mc 1,10; cfr. Mc 15,38).
L’evangelista, come ci comunica già all’inizio della sua opera, intendeva dimostrare che Gesù era il figlio di Dio (Mc 1,1). Dopo il battesimo nel Giordano la figliolanza divina di Gesù viene pronunciata dal Padre (Mc 1,11); nessuno degli uomini non era ancora in grado di riconoscere in Gesù il figlio di Dio. Alla fine della sua attività terrena, finiti gli insegnamenti e compiuti tanti miracoli, spirato in modo tale da provocare la lacerazione del velo del tempio, anche i pagani (come il centurione) sono in grado di riconoscere in Gesù il figlio di Dio (Mc 15,39). Così il bettesimo di Gesù appare nel vangelo di Marco come la prefigurazione e il preannunzio della sua morte. L’apertura dei cieli nella scena sulla riva del Giordano preannunzia apertura dei cieli per tutti i credenti in Gesù come il figlio di Dio. E questo fatto viene mostrato in modo simbolico dallo squarciarsi del velo del tempio. Dopo la morte redentrice di Gesù ogni uomo può trovare l’accesso al cielo. Il tempo del primo tempio è finito: “… nella prima Tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrarvi il culto; nella seconda invece solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per i peccati involontari del popolo. (…) Cristo invece, venuto come sommo sacerdote di beni futuri (…) con il proprio sangue entrò una volta per sempre nel santuario, procurandoci così una redenzione eterna” (Ebr 9,6-12).
[1] J. MARCUS, „Mark – Interpreter of Paul”, NTS 46 (2000) 481. L’autore sostiene che quel simbolo indica „the end of the central institution of Judaism”; ibid.
[2] „(…) the tearing of the veil in the temple (15,38) […] signifies God’s abandonment of the Jewish system of worship and, by implication, Israel as whole. According to 15,38f., the cross reveals God’s rejection of the Jewish people, who have themselves rejected their Messiah, and his creating of a new community among the Gentiles who, like the centurion, will confess Jesus as the Son of God (cf.12,1-9)”; F. WATSON, „The Social Function of Mark’s Secrecy Theme”, JSNT 24 (1985) 57.
[3] P.A. Cunningham agginge: „Finally, the curtain’s destruction could also relate to the parable Jesus had told in the temple about the wicked vineyard tenants, who, after killing the owner’s belowed son, will feel his wrath. ‘He will come and destroy the tenants, and give the vineyard to others’ (12:9). These ‘others’ clearly must mean the Gentiles, indicating that the Marcan church is largely Gentile one”; Jesus and the Evangelists. The Ministry of Jesus and Its Portrayal in the Synoptic Gospels, New York 1988, 39.
[4] „Zauważa się brak bliższego określenia, o jaką zasłonę chodzi. Można bowiem pomyśleć o wewnętrznej, która dzieliła ‘święte’ od ‘najświętszego’ (miejsca), lub o zewnętrznej, zawieszonej na frontowej części świątyni. Ta zewnętrzna kurtyna była zauważalna dla wszystkich wchodzących do świątyni i strzegła jej tajemniczości. Dla Żydów była symbolem całego starożytnego wszechświata. Przypuszczalnie tekst Mk ma na uwadze rozdarcie obu zasłon. Wskazują na to słowa ilustrujące namacalny znak Boży, który dla chrześcijańskich czytelników miał głęboką wymowę: śmierć Jezusa kładzie kres staremu kultowi i otwiera na Boga także pogan”; H. LANGKAMMER, Ewangelia według św. Marka. Tłumaczenie, wstęp i komentarz, Biblia Lubelska, red. L. Stachowiak, J. Kudasiewicz, Lublin 1997, 145.
[5] „This complete destruction of the sanctuary veil indicates the termination of the handmade sanctuary as the holy place of God’s presence and of authentic worship. By his death Jesus has in effect „destroyed” the handmade sanctuary and begun the „building” of the one that is not handmade (14:58; 15:29)”; J.P. HEIL, „The Narrative Strategy and Pragmatics of the Temple Theme in Mark”, CBQ 59 (1997) 98.
[6] „(…) dawne sanktuarium straciło swój sakralny charakter. Świątynia żydowska przestała spełniać funkcję znaku obecności Bożej. Funkcję tę spełnia bowiem znak, którym jest ciało samego Jezusa”; G. WITASZEK, „Teologia świątyni”, w: Życie religijne w Biblii, red. G. Witaszek, Lublin 1999, 98-99.
[7] J. DHEILLY, The Prophets, New York 1960, 84.
[8] „A giudizio della stragrande maggioranza degli studiosi il battesimo di Gesù è tra i dati più sicuri della vita di Gesù. Esso procurò alla comunità crescenti difficoltà che si intravvedono negli altri vangeli.”; J. GNILKA, Marco, Commenti e studi biblici, Assisi 1987, 52-53.
[9] J. Ernst richiama le parole di R. Schnackenburg: „Jesus wird durch seinen Heimatort auch als ein bestimmter, geschichtlich existierender Mensch ausgewiesen, er ist keine mythische Gestalt und über diesen (>historischen<) Jesus geschehen dann bald jene unerhörten Aussagen in der Gottesstimme”; Das Evangelium nach Markus, Regensburger Neues Testament, Regensburg 1981, 38.
[10] Anche un altra spiegazione è possibile: „Alla menzione del battesimo segue la teofania. Le due parti sono sproporzionate: sette parole greche per il battesimo contro le trentaquattro per la teofania. E’ evidente che, mentre il battesimo viene trattato velocemente, il racconto si sofferma sulla teofania”; S. LÉGASSE, L’Évangile de Marc, LeDivC 5, I-II, Paris 1997; tr. italiana, Marco, Roma 2000, 74.
[11] S. Légasse nota con umorismo, che la colomba del battesimo di Gesù non è un simbolo della pace tra gli esegeti, che moltiplicano le interpretazioni di questa scena; Marco, 75.
[12] In questo caso i testi rabbinici parlano più spesso dell’aquila che della colomba.
[13] Il collegamento tra la colomba del battesimo di Gesù e la colomba del diluvio fu notato già da Tertuliano, De baptisma 8.
[14] Cfr. Mc 1,1.11; 3,11; 5,7; 9,7; 12,4; 14,61; 15,39.
[15] „Fu un gesto con cui Dio dava il via alla sua attività messianica, che egli doveva portare a termine e come ‘Servo di Jahvé’ e come ‘Figlio di Dio’. Rappresenta, perciò, e l’inizio della sua attività messianica e insieme l’inaugurazione dell’èra escatologica”; A. SISTI, Marco. Versione – Introduzione – Note, Introduzione ai Vangeli Sinottici, Roma 19844, 149.
[16] In pratica proprio il figlio primogenito era amato più degli altri figli.
[17] M. KÄHLER, Der sogenannte historische Jesus, und der geschichtliche, biblische Christus, München 19562, 59.
[18] W.H. KEBLER, Mark’s Story of Jesus, Philadelphia 1979, 81.
[19] W. BÖSEN, Ostatni dzień Jezusa z Nazaretu, tłum. W. Moniak, Wrocław – Warszawa – Kraków 2002, 324.
[20] D. ULANSEY, „The Heavenly Veil Torn: Mark’s Cosmic ‘Inclusio’”, JBL 110 (1991) 1, 123; H.M. JACKSON, „The Death of Jesus in Mark and the Miracle from the Cross”, NTS 33 (1987) 23-31.
[21] Secondo G. Aichele, solo il centurione poteva vedere il velo squarciato; gli altri testimoni della scena non ne sono consapevoli. Così nasce un’altra analogia tra la morte di Gesù e il suo battesimo, durante il quale solo Gesù ha sentito chiaramente la voce che proveniva dal cielo; „Mark’s story of unnatural darkness at the moment of Jesus’ death and the tearing of the temple curtain might refer to a supernatural event. However, these are ambiguous signs; unlikely yet natural explanations can be conceived for them. Indeed, the characters in the story seem unaware of these events, just as they were unaware of the dove and voice at Jesus’ baptism (Mark 1:10-11)”; „Fantasy and Myth in the Death of Jesus”, Cross Currents 44 (1994) 94.
[22] J. ERNST, Marco. Un ritratto teologico, Brescia 1990, 65-67; T.H. KIM, „The Anarthrous ui`o.j qeou/ in Mark 15,39 and the Roman Imperial Cult”, Bib 79 (1998) 241.
[23] “Motyer notes that: (1) at both moments a voice is heard declaring Jesus to be the Son of God (at the baptism it is the voice of God, while at the death it is the voice of the centurion); (2) at both moments something is said to descend (at the baptism it is the spirit-dove, while at the death it is the tear in the temple veil, which Mark explicitly describes as moving downward), (3) at both moments the figure of Elijah is symbolically present (at the baptism Elijah is present in the form of John the Baptist, while at Jesus’ death the onlookers think that Jesus is calling out to Elijah); (4) the spirit (pneuma) which descends on Jesus at his baptism is recalled at his death by Mark’s repeated use of the verb ekpneo (expire), a cognate of pneuma”; D. ULANSEY, „The Heavenly Veil Torn: Mark’s Cosmic ‘Inclusio’”, 123.
[24] „The baptism is the passion which will plunge Jesus into a sea of suffering”; W. HARRINGTON, Mark, New Testament Message. A Biblical-Theological Commentary IV, Collegeville 1991, 166.