GESÙ, L’AGNELLO SACRIFICALE

fot. M. Rosik

Ai tempi del giudaismo biblico, gli Israeliti, seguendo le prescrizioni della Legge, spesso offrivano gli agnelli in sacrificio a Dio. Gli agnelli venivano immolati non solo durante la Pasqua, ma anche in occasione di molte altre feste, ed anche nei giorni feriali, come sacrifici volontari. Di conseguenza è nata la figura dell’agnello sacrificale, a cui fa riferimento il profeta Isaia e che successivamente fu adottata dagli autori del Nuovo Testamento. Può l’agnello sacrificale veterotestamentario essere la prefigurazione dell’Eucaristia?

Il Servo di Jahvè come agnello

Nel libro del profeta Isaia si trovano quattro canti che parlano del servo di Jahvè che andrà incontro alla morte in riparazione dei peccati degli Israeliti e dei popoli pagani. La morte di questo misterioso personaggio, che gli Ebrei non identificavano con l’atteso Messia, viene paragonata dal profeta alla macellazione di un agnello. La figura dell’agnello, che rimanda ai sacrifici offerti nel tempio di Gerusalemme, si ritrova nel quarto canto: „Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53, 6-7).

Il quarto ed ultimo canto inerente al servo del Signore costituisce il culmine della sua storia. Descrive una ingiustificata sofferenza, la passione, la morte e infine l’esaltazione del servo. Ed è in questo canto che egli viene presentato come un agnello muto condotto al macello. Due versi sottolineano la natura espiatoria della morte del servo del Signore: „Il Signore fece ricadere su di Lui l’iniquità di noi tutti”. Il servo quindi muore per coloro che si sono smarriti come le pecore che si sono allontanate dalla propria strada.

Il processo di Gesù

Nell’interpretazione degli autori del Nuovo Testamento, il servo del Signore condotto alla morte come un agnello muto è Gesù stesso. Il suo silenzio durante i processi lo conferma. Gesù non disse una sola parola quando fu interrogato da Caifa: „Ma egli taceva e non rispondeva nulla” (Mc 14,61). Il suo silenzio continuò finché non fu costretto da un giuramento: „Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio” (Mt 26, 63). La risposta fu molto secca: „Tu l’hai detto” (Mt 26, 64). Tenne lo stesso atteggiamento davanti a Pilato. Quando il governatore gli chiese se era il re dei Giudei, Egli rispose soltanto: „Tu lo dici” (Mc 15, 2). In precedenza, mentre veniva accusato dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, non aveva risposto a nessuna delle domande di Pilato. Si comportò allo stesso modo con Erode, nonostante quest’ultimo gli ponesse molte domande (Lc 23, 9). Gli evangelisti, quindi, cercano in tutti i modi di presentare Gesù come il servo del Signore, che “come agnello fu condotto al macello” (Is 53, 7).

Il diacono Filippo e l’Etiope

La figura dell’agnello che rappresentava Gesù ritorna ancora nel Nuovo Testamento nelle pagine degli Atti degli Apostoli nel racconto della conversione dell’Etiope (At 8, 25-40). Il funzionario della regina di Etiopia venendo dal suo regno a Gerusalemme dovette percorrere oltre mille chilometri. Bisogna considerare che l’Etiope, volendo partecipare alla celebrazione della Pasqua a Gerusalemme, dovette far fronte a delle restrizioni che lo riguardavano. In quanto pagano, non poteva entrare con altri Ebrei nel cortile degli uomini (anche se li conosceva ed erano suoi amici), ma doveva rimanere nel cortile dei gentili e limitarsi ad osservare coloro che offrivano i sacrifici. Pur essendo interiormente convinto del valore, della legittimità e della fondatezza del culto che veniva eseguito, non poteva parteciparvi a pieno titolo. Lo splendore del tempio avrebbe potuto suscitare in lui timidezza e fargli sentire la maestà di Dio, tuttavia rimaneva al di fuori di tutto ciò, un estraneo. Non conosceva né comprendeva appieno le Scritture, ma il fatto che sulla via del ritorno si mise a leggerle dimostra il suo desiderio di approfondire la religiosità di Israele.

Dopo aver incontrato Filippo, si mise ad ascoltare volentieri la sua spiegazione del passo che stava leggendo: „Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca” (At 8, 32). Dopo che Filippo interpretò queste parole del quarto canto del servo di Jahvè e le mise in relazione con Cristo, l’Etiope non esitò a chiedere il battesimo di cui Filippo deve aver indubbiamente parlato (At 8, 38). L’aver ricevuto il battesimo, lo inserì nella Chiesa nascente e l’Etiope divenne il primo rappresentante della sua nazione a riconoscere in Cristo il Signore e Salvatore.

San Pietro su Gesù come Agnello

Appartenente al gruppo delle cosiddette epistole cattoliche, la prima lettera di San Pietro non contiene in sostanza questioni dottrinali, tranne la messa in rilievo della verità della discesa di Cristo agli Inferi. La lettera ha quindi un carattere esortativo, poiché contiene numerose sollecitazioni e richiami alla santità di vita, alla cura delle relazioni reciproche e alla vigilanza riguardo l’imminente giudizio di Dio. Tuttavia ci troviamo un riferimento alla morte espiatoria di Cristo, chiamato l’agnello immacolato e senza macchia: „Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come l’argento e l’oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1Pt 1, 18-19).

Interpretando il rito del Giorno dell’Espiazione (Yom Kippur) in relazione a Cristo, il servo del Signore, Pietro – alludendo chiaramente al citato passo del quarto canto di Jahvè – scrive: „Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime” (1Pt 2, 24-25). Chiamare Cristo agnello indica il carattere sacrificale della sua morte. Gli esegeti vedono qui non solo il riferimento ai sacrifici descritti nel Levitico o nel Libro dei Numeri, ma anche al quarto canto del servo di Jahvè.

L’Eucaristia è il sacrificio dell’Agnello

Nella celebrazione dell’Eucaristia, quando il sacerdote solleva l’Ostia consacrata e la mostra ai fedeli, pronuncia le seguenti parole: „Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo”. È fuori dubbio che, tenendo nella sua mano il corpo di Gesù, il celebrante si riferisce alla figura veterotestamentaria dell’agnello sacrificale, descritta da Isaia nel quarto canto sul servo di Jahvè. Sarà Gesù quel servo condotto al macello come un agnello. Ed è per questo che l’immagine dell’agnello immolato nel sacrificio ci preannuncia, senza alcun dubbio, l’Eucaristia.

Traduzione di Anna Marx Vannini

„Gesù, l’Agnello sacrificale”, Rinnovamento nello Spirito Santo 10-11 (2020) 10-11.

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