Uno dei principi più importanti nell’interpretazione esegetica di oggi sembra il paragone sinottico tra il testo esaminato e i suoi paralleli. Questo principio vale soprattutto per i vangeli sinottici. Le somiglianze e le differenze tra pericopi paralleli possono mettere in risalto i particolari interessanti che cambiano o modificano il messaggio principale del testo esaminato. Dall’insieme del paragone sinottico si può dedurre i tratti teologici che sono caratteristici per autore del racconto biblico. Si può vedere anche con molta chiarezza il lavoro redazionale dello scrittore ispirato.
Il testo parallelo a Mc 7,24-30, che racconta la storia di una donna sirofenicia (cananèa) e della sua figlia tormentata da un demonio, si trova in Mt 15,21-28. L’evangelista Luca non racconta quest’episodio[1]. In questo articolo vogliamo analizzare le somiglianze e le differenze tra il testo di Marco e quello di Matteo. Questa analisi svolgeremo in tre tappe. All’inizio presenteremo il messaggio principale della pericope nel suo contesto immediato. Poi segue la parte principale cioè il paragone sinottico tra le due versioni. In questa parte dimostreremo le somiglianze e le differenze tra racconto di Marco e quello di Matteo, ed indicheremo le direzioni del lavoro redazionale degli evangelisti. Gli accenti e le sfumature teologici che emergono dal lavoro redazionale vengono presentati nell’ultima parte dell’articolo.
1. Il messaggio principale della pericope nel suo contesto immediato
La pericope della donna sirofenicia (Mc) o cananèa (Mt) tratta senza dubbio della missione di Gesù[2]. Questa volta Gesù la svolge fra i pagani. Il miracolo compiuto da Gesù, cioè l’esorcismo della figlioletta della madre tormentata, è un simbolo del dono della salvezza ai pagani, i quali manifestano la loro fede[3]. Questa missione fra i gentili doveva probabilmente essere giustificata nei circoli della chiesa primitiva[4]. La necessità di tale giustificazione risultava dal fatto che Gesù si intendeva mandato solamente alla casa di Israele (cf. 7,27; Mt 15,24)[5]. L’evangelista voleva dimostrare che la missione apostolica fra i gentili trova la sua prefigurazione nel ministero terreno di Gesù[6]. Nella nostra pericope, dunque, come tema centrale appare l’ammissione dei pagani alla salvezza portata da Cristo[7]. Non ci sono più le persone pure e impure, ma ognuno – a suo tempo – può ricevere il dono della salvezza. L’intero episodio trasmette il messaggio salvifico che attraversa tutti i secoli, il messaggio semplice e profondo, il cui contenuto rivela che Dio è disposto ad offrire il dono della salvezza a chi lo chiede umilmente e con fiducia. Fra quelli, infatti, che riconoscono Gesù come il Signore che esercita la sua potenza su ogni forma di debolezza umana, non ci sono più né ebrei, né gentili. E’ proprio l’atteggiamento di fede che apre la strada alla salvezza per tutti[8].
Riguardo al contesto immediato della pericope, notiamo che il contesto anteriore è uguale nei due vangeli: sia Matteo (Mt 15,1-20), sia Marco (Mc 7,1-23) riportano la discussione di Gesù con i farisei e con gli scribi sulle tradizioni farisaiche, dopo la quale segue l’insegnamento di Gesù sul puro e sull’impuro. La versione matteana di questo racconto è più breve che quella marciana, e il lavoro redazionale di Matteo tende a adattare il brano al lettore giudeocristiano[9]. Il contesto posteriore è diverso in Mc e Mt: Marco racconta la guarigione di un sordomuto (7,31-37), Matteo invece menziona molte guarigioni presso il lago (Mt 15,29-31). Si nota tuttavia che il contesto posteriore tratta sempre di guarigioni e i racconti vengono introdotti con la menzione dello spostamento di Gesù presso “il mare di Galilea” (Mc 7,31; cf. Mt 15,29). Nel nostro studio vogliamo analizzare le somiglianze e le differenze del testo marciano rispetto a questo di Matteo.
2. Paragone sinottico tra Mc 7,24-30 e Mt 15,21-28
Nella parte introduttiva che parla dello spostamento di Gesù (Mc 7,24; Mt 15,21) nel racconto di Matteo troviamo la nozione geografica di Tiro e Sidone, che probabilmente ha influenzato (come abbiamo già notato nel paragrafo dedicato alla critica testuale della pericope) alcune versioni di Mc 7,24. Tutti i due evangelisti si servono della parola “di là” che indica movimento spaziale. Marco preferisce usare il sostantivo le “regioni” , Matteo invece parla delle “parti di Tiro e Sidone”. Nella versione matteana non si menziona la casa, nella quale entra Gesù; il lettore riceve l’impressione che la scena si svolga all’aperto. Matteo omette anche la menzione del desiderio di Gesù di rimanere nascosto (Mc 7,24b) che in Marco può essere collegata con il segreto messianico. Può darsi anche che Matteo non voglia dire che Gesù non è riuscito a fare qualcosa, in questo caso, a rimanere solo.
Nella presentazione della madre tormentata che chiede aiuto per sua figlia osserviamo le notevoli differenze fra le due versioni. In questo punto la relazione di Matteo si stacca dallo schema narrativo di Marco. Marco riporta una doppia identificazione della donna: “greca, d’origine sirofenicia” (7,26a), Matteo invece parla di “una donna cananèa, che veniva da quelle regioni” (15, 22a)[10]. L’identificazione della donna come “una Cananèa” in Matteo indica la nazione disprezzata dagli ebrei.
La comparsa della madre supplice e il suo dialogo con Gesù viene descritto in modo molto diverso nei due vangeli. Innanzi tutto si nota che in Marco non si trova il materiale di Mt 15,22b-24. Questi versetti contengono:
- la descrizione della comparsa della donna (22b);
- la prima richiesta della donna (22c);
- la presentazione della sofferenza della ragazza (22d);
- la menzione del silenzio di Gesù (23a);
- l’intervento dei discepoli (23b);
- la risposta di Gesù (24);
- il gesto di prostrazione e la seconda richiesta della donna (25).
Alcuni degli elementi sopra elencati sono presentati da Marco in un modo diverso (sopratutto con un diverso vocabolario), gli altri non si trovano nell’opera marciana. Gli elementi comuni per due vangeli sono i seguenti: la descrizione della comparsa della donna, la richiesta della donna, la presentazione della sofferenza della ragazza e il gesto di prostrazione (in Mc abbiamo il gettarsi ai piedi di Gesù).
Matteo descrive la comparsa della donna cananèa usando il participio aoristo: evxelqou/sa (15,22b). La comparsa della Sirofenicia in Mc, introdotta anche dal participio aoristo del verbo con la stessa radice (7,25b), corrisponde con la seconda richiesta della donna (15,25) dove si usa la stessa forma verbale.
La prima richiesta della madre, riportata da Matteo (15,22c), non si trova in Mc. La supplicante si rivolge a Gesù nella versione marciana (7,28b) come equivalente a Mt 15,27. Il titolo viene allargato con le parole „figlio di Davide”. La richiesta va segnata dal motivo di misericordia.
La richiesta della Cananèa viene ampliata dalla presentazione della sofferenza della ragazza (15,22d). Matteo, dunque, inserisce questo motivo nel discorso diretto; Marco invece unisce la menzione della situazione della figlia della Sirofenicia con la presentazione della madre (7,25b). Per mezzo dell’uso dell’aggettivo Matteo dimostra la gravità della situazione; Marco omette questo motivo. Un’altra differenza tra le due versioni consiste nel fatto che Marco usa l’espressione ebraica “avere lo spirito impuro”, Matteo invece preferisce il verbo daimoni,zetai, che era il modo di esprimersi greco.
Nel racconto di Matteo segue la menzione del silenzio di Gesù (15,23a). In Marco non troviamo il motivo parallelo. Un elemento che introduce una differenza notevole e significativa dal punto di vista teologico consiste nell’intervento dei discepoli (15,23b). Nella versione marciana del racconto i discepoli non vengono menzionati. In Mt invece essi implorano Gesù affinché reagisca al comportamento della donna. Vengono, dunque, presentati come i “mediatori” tra la donna che chiede l’aiuto e Gesù[11]. Dicono che la donna “grida dietro”. Il motivo di grido nei salmi assume la funzione mediatrice: è un grido per ottenere aiuto (es. Sal 16,6; 18,7)[12]. Questo motivo non viene riportato da Marco.
La risposta di Gesù (15,24) sembra essere indirizzata ai discepoli, anche se la donna probabilmente ne è testimone. Il contenuto teologico delle parole di Gesù si concorda con il divieto della missione fra i pagani, rivolto ai discepoli (Mt 10,5)[13].
La prostrazione della donna in Mt (15,25a) equivale al gesto di gettarsi ai piedi di Gesù in Mc (7,25c). Quel motivo viene introdotto nei due vangeli con lo stesso verbo. Matteo non usa l’espressione marciana probabilmente a causa della portata teologica che il verbo „chiedere” assume nel suo vangelo[14]. Nel racconto di Marco segue la presentazione della donna (7,26a), che interrompe la narrazione. Questa presentazione nella versione matteana viene spostata all’inizio della pericope (15,22). Abbiamo già evidenziato le differenze nell’identificazione della supplice fra i due vangeli.
Gli evangelisti in modo diverso presentano la richiesta (in Mt è già la seconda) della madre (Mc 7,26b; Mt 15,25b). In Mt essa prende la forma del discorso diretto ed è molto breve. La donna, dunque, chiede l’aiuto per se stessa; così viene sottolineato lo stretto legame tra la madre e la figlia[15]. Di nuovo notiamo l’uso del vocativo „Signore”. La richiesta della Sirofenicia in Mc viene staccata dal gesto di gettarsi ai piedi di Gesù con la frase che rivela l’identità della donna (7,26a). La richiesta viene introdotta con il verbo diverso da quello in Mt. Diversamente da 7,25b, adesso Marco introduce il modo di esprimersi greco: “scacciare il demonio”.
Anche la risposta di Gesù alla richiesta della donna viene introdotta in modo diverso nei due vangeli, anche se in questo punto Matteo ritorna allo schema narrativo di Marco. Marco la introduce con il verbo all’imperfetto (7,27a), Matteo usa l’espressione più larga (15,26a). Matteo omette la prima parte della risposta (Mc 7,27). L’omissione di questa frase, che introduce la speranza della salvezza per i pagani, può essere causata dal fatto che Matteo indirizzava la sua opera ai giudeocristiani. Così le parole di Gesù riportate da Marco sono caratterizzate da un tono meno rigido e meno severo di quelle riportate da Matteo. La seconda parte della risposta di Gesù è quasi identica nei due racconti. Notiamo solo piccoli cambiamenti; Matteo omette la congiunzione e cambia l’ordine delle parole nell’ultima espressione della frase (Mc 7,27b). Come si vede, la posizione del sostantivo “i cagnolini” nel testo marciano è enfatica.
La risposta della donna al rifiuto da parte di Gesù di esaudirla viene introdotta in modo diverso nei due racconti. Marco usa l’espressione bipartita, perciò più lunga (7,28a), Matteo invece si serve dalla formulazione (15,27a). L’affermazione nai, che si trova in Mt, viene anche riportata in alcune versioni del testo marciano, ma qui non sembra originale (come abbiamo notato discutendo la critica del testo della pericope). In entrambi i racconti degli evangelisti appare l’appellativo „Signore” (in Matteo per la terza volta nella pericope). Poi si notano le seguenti differenze del testo matteano riguardo a quello marciano: Matteo introduce „invece” che non si trova in Mc; mentre Marco parla dei cagnolini che si trovano “sotto la tavola”, Matteo collega la menzione della tavola con le briciole che cadono da essa; Matteo invece dei “figli” (così Marco), parla dei “loro (degli cagnolini) padroni”; i due evangelisti usano lo stesso verbo, ma in forma diversa. Nel racconto di Marco la menzione della malattia della ragazza si trova due volte (7,25.26), in quello di Matteo, una volta sola (15,22)[16].
La successiva risposta di Gesù alle parole della donna viene introdotta da diverse formulazioni nei due sinottici: questa volta Marco usa l’espressione più breve (7,29a), Matteo invece più lunga (15,28a). La differenza del contenuto delle parole di Gesù nei due racconti è notevole: in Mt Gesù apprezza “la grande fede “ della madre supplice (15,28b), in Mc invece la decisione della guarigione da parte di Gesù è causata da “questa tua parola” (7,29b). Poi, in Mt Gesù fa riferimento al desiderio della donna (15,28c), in Mc invece rivolge a lei un comando collegato con l’affermazione che il demonio è uscito dalla ragazza (7,29c).
La conclusione dell’evento in Mt è più breve: l’evangelista costata che la figlia della Cananèa fu guarita (15,28d). L’enfasi cade sull’indicazione temporale. In Mc la conclusione della storia (7,30), introdotta con „e”, contiene tre elementi: il cammino della donna verso la sua casa (7,30a); la menzione della situazione della ragazza (7,30b); l’affermazione dell’uscita del demonio (7,30c).
3. Conclusioni: il lavoro redazionale e teologico degli evangelisti
Dall’insieme del paragone sinottico possiamo costatare che lo svolgimento degli eventi nella storia di guarigione della figlia di una donna pagana è simile nei due racconti sinottici, tuttavia si notano le significative differenze fra le relazioni nei due vangeli. Le differenze riguardano questioni grammaticali e contenutistiche. Da esse risultano anche le differenze nella teologia della pericope.
Il racconto di Marco è più breve e il suo linguaggio più semplice. L’evangelista costruisce la narrazione sulla base del kai., il cui uso spesso introduce il nuovo passo nello svolgersi dell’azione. Più spesso che Matteo introduce i diminutivi, che richiamano la lingua parlata e quotidiana piuttosto che invocare le idee teologiche. Il tratto caratteristico del suo stile, che si nota anche nella nostra pericope, è l’uso frequente delle costruzioni con i participi[17]. Il racconto di Matteo è più elaborato dal punto di vista del vocabolario e della sintassi[18]. L’evangelista usa in 15,22b-24 materiale non presente in Mc[19].
Per quanto riguarda la teologia dei due racconti paralleli, si notano importanti temi comuni. Come tema principale appare la questione della missione fra i pagani. Marco dimostra ai cristiani di origine pagana la priorità dei giudei nella missione di Gesù e della chiesa primitiva; Matteo dimostra ai giudeocristiani che la fede apre per i pagani la strada al Signore[20]. Entrambi i sinottici presentano il potere di Gesù sopra gli spiriti immondi, inquadrato nel tema di guarigione (a distanza). L’elemento principale della struttura della pericope è costituito dal dialogo tematico. Gli evangelisti accentuano l’insistenza nella supplica della donna e la sua fiducia (e fede) in Gesù.
Matteo racconta la storia di una donna cananea. La scena si svolge presso le parti di Tiro e Sidone. L’evangelista coinvolge i discepoli nel dialogo, introducendo così uno dei temi principali della sua opera. I discepoli chiedono a Gesù di reagire alla supplica della donna. In questo contesto Matteo introduce l’espressione che è tipica per il suo vangelo: “le pecore perdute della casa di Israele” (Mt 15,24; cf. 9,36; 10,6; 18,12). Così appare anche indirettamente l’immagine di Dio come pastore. Quest’immagine assume una maggiore importanza di fronte al fatto che il vangelo era indirizzato ai giudeocristiani.
Nel dialogo la donna due volte si rivolge a Gesù nel discorso diretto. Nelle sue parole tre volte usa il titolo “Signore” e una volta il titolo “Figlio di Davide”. Questi appellativi hanno una funzione ben precisa nella cristologia di Matteo[21]. Con la cristologia viene anche legato l’uso del verbo proskune,w (15,25); quel gesto nell’opera matteana appare sempre nel contesto della fede. Ed è proprio la fede della madre, che convince Gesù ad esaudire il suo desiderio. Matteo omette la frase di Marco: “Lascia prima che si sfamino i figli” (Mc 7,27), motivato probabilmente dal concetto dell’esclusivismo della missione di Gesù limitata ai soli ebrei. A causa di questa omissione il suo racconto assume la tonalità più rigida e severa.
Marco racconta la storia di una donna greca, d’origine sirofenicia. Così viene sottolineata la dimensione missionaria dell’evento. L’evangelista menziona solo Tiro come luogo dell’incontro con Gesù. L’indicazione del desiderio di Gesù di rimanere nascosto si inserisce nel quadro del segreto messianico, uno dei temi teologici principali del vangelo intero. Non si parla della presenza dei discepoli. La donna solo una volta si rivolge a Gesù nel discorso diretto, usando l’appellativo “Signore”. La tematica di fede viene toccata solo in modo indiretto: Gesù guarisce la figlia della donna motivato dalla sua “parola”. Questo aspetto sottolinea la fiducia della Sirofenicia nella benevolenza di Gesù e nel suo potere sopra gli spiriti impuri, che porta alla fede salvifica. Rispondendo alla domanda principale del suo vangelo (“Chi è Gesù?”), Marco presenta Gesù come il guaritore, che nella sua missione di taumaturgo attraversa i confini d’Israele e offre ai pagani il dono della salvezza.
Streszczenie
Jezus, przez uzdrowienie córki niewiasty Kananejskiej (Syrofenicjanki), a nawet przez samą swoją obecność w okolicach Tyru i Sydonu przełamuje bariery dzielące Żydów i pogan. Wersje tego opowiadania znacznie różnią się w ujęciu ewangelistów. Różnice między obiema relacjami nie ograniczają się jedynie do odmiennego ujęcia pochodzenia kobiety, ale dotyczą także np. lokalizacji sceny. U Marka Jezus sam przybliża się do wybrzeży Fenicji, u Mateusza towarzyszą Mu uczniowie. U Marka Jezus wchodzi do domu chcąc ukryć swą obecność w tych okolicach, u Mateusza wraz z uczniami przechodzi drogą. Źródło tych i innych różnic, zwłaszcza natury teologicznej, należy widzieć w odrębności adresatów: Marek uświadamia czytelnikom, że Jezus musiał najpierw głosić ewangelię Żydom, ponieważ do nich został posłany i do nich w pierwszym rzędzie odnosiły się zapowiedzi mesjańskie; Mateusz natomiast niejako usprawiedliwia wobec chrześcijan pochodzenia żydowskiego głoszenie ewangelii poganom. Jedna z hipotez dotycząca formowania się tekstu tej perykopy głosi, że Mateusz korzystał z innej tradycji tego opowiadania, którą skompilował z tekstem Markowym.
[1] Alcuni esegeti suggeriscono che Luca, che indirizzava la sua opera ai cristiani di origine pagana, potrebbe essere “offeso” dal riferimento ai pagani come cani (Mc 7,27), perciò ha omesso questo episodio nel suo vangelo; T.A. BURKILL, “The Syrophoenician Woman: The Congruence of Mark 7: 24-31”, ZNW 57 (1966) 25.
[2] J.P. MEIER, A Marginal Jew, I, Mentor, Message, and Miracles, Rethinking the Historical Jesus, New York – London – Toronto – Sydney – Auckland 1994, 659; J.D.G. DUNN, Christianity in Making. Jesus Remembered, II, Grand Rapids – Cambridge 2003, 218-219.
[3] S. LÉGASSE, L’Évangile de Marc, LeDivC 5, I-II, Paris 1997; tr. italiana, Marco, Roma 2000, 381.
[4] A. PACIOREK, Ewangelia według świętego Mateusza. Rozdziały 14-18. Wstęp, przekład z oryginału, komentarz, Nowy Komentarz Biblijny I/2, Częstochowa 2008, 90-91.
[5] G. LOHFINK, “Die Korrelation von Reich Gottes und Volk Gottes bei Jesus”, ThQ 165 (1985) 180.
[6] T.A. BURKILL, “The Historical Development of the Story of the Syrophenician Woman”, NovT 9 (1967) 173.
[7] R. PESCH, Il vangelo di Marco, I, Testo greco e traduzione. Introduzione e commento ai capp. 1,1-8,26, Commentario Teologico del Nuovo Testamento II/1-2, Bresia 1980, 600-601.
[8] „Il brano della donna sirofenicia offre il suo contributo al tema centrale dell’opera di Marco, cioè alla questione cristologica riguardante l’identità di Gesù. Gesù viene presentato come colui che esercita il suo potere di taumaturgo sugli spiriti immondi; può farlo anche a distanza, conoscendo i risultati della sua azione. Egli è il Cristo, cioè Messia, che ancora vuole rimanere nascosto. Egli è colui che può offrire il “pane” ai “figli” e ai “cagnolini”, osservando il piano divino di salvezza. Egli, infine, viene venerato come il “Signore”. Il messaggio della pericope si inserisce anche nel tema della signoria di Dio presente nel vangelo di Marco. La signoria di Dio in questo vangelo è strettamente collegata con la persona di Gesù. L’annuncio di Gesù che il regno di Dio è vicino (cf. Mc 1,15) viene confermato dalle sue opere: guarigioni, esorcismi ed altri miracoli. Esse fanno capire la potenza di questo regno e sono la conferma dell’annuncio. Gesù, scacciando il demonio dalla figlia della Sirofenicia, rompe il potere del satana, che controlla la vita della ragazza”; M. ROSIK, „La donna sirofenicia (Mc 7,24-30). Analisi esegetica ed interpretazione teologica”, Studia Warmińskie 39 (2002) 277-278.
[9] M. ROSIK, Ku radykalizmowi ewangelii, Wrocław 2000, 47-58.
[10] Secondo G. Schwarz questa differenza tra i due sinottici è dovuta alla tradizione orale aramaica. Il sostantivo aramaico atyn[nK può significare sia “Cananèa”, sia “Feniciana”; G. SCHWARZ, “SUROFOINIKISSA-CANANAIA (Markus 7.26; Matthäus 15.22)”, NTS 30 (1984) 627.
[11] T.A. BURKILL, “The Historical Development”, 169.
[12] J.D.M. DERRETT, “Law in the New Testament: The Syro-Phoenician Woman and the Centurion of Capernaum”, NovT 15 (1973) 164.
[13] R. LATOURELLE, Miracles de Jésus et théologie du miracle, Recherches Nouvelle Série 8, Montréal – Paris 1986, 197.
[14] T. HERGESEL, Jezus Cudotwòrca, Katowice 1987, 92.
[15] J.D.M. DERRETT, “Law in the New Testament: The Syro-Phoenician Woman and the Centurion of Capernaum”, 164.
[16] G. BORNKAMM, – G. BARTH, – H.J. HELD, Überlieferung und Auslegung im Matthäusevangelium, WMANT, Neukirchener 19706, 187.
[17] Nel nostro brano 7 volte; B. FLAMMER, “Die Syrophoenizerin: Mk 7,24-30”, ThQ 148 (1968) 464.
[18] M. ROSIK, Ku radykalizmowi ewangelii, 124.
[19] J.D.G. DUNN, Christianity in Making. Jesus Remembered, 219. Nella storia dell’esegesi della nostra pericope prevalgono due opinioni per quanto riguarda la relazione tra Marco e Matteo. La prima, ritenuta da Dibelius, suppone una fonte comune per i due vangeli. Questa fonte apparterrebbe alla tradizione dei detti. La seconda, sostenuta da Streeter e Manson, indica due fonti per Matteo (Mc e M). Questa seconda ipotesi spiega in modo migliore l’inserimento in Mt 15, 22-25 (o almeno il v.24), confermato anche dagli altri casi in cui Matteo inserisce i detti nel racconto marciano (es. Mt 9,13; 12,5-7.11); V. TAYLOR, Marco. Commento al Vangelo messianico, Assisi 1977, 397-398.
[20] G. BORNKAMM, – G. BARTH, – H.J. HELD, Überlieferung und Auslegung im Matthäusevangelium, 189.
[21] L.A. GUARDIOLA-SÁENZ, “Borderless Women and Borderless Texts: A Cultural Reading of Matthew 15:21-28”, Semeia 78 (1997) 75.